Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

L’inventore dell’opera «Studiata per fermare l’improvviso scirocco»

L’ingegner Scotti: «Ossola ha ragione, prima i test»

- Alberto Zorzi

«Alzare il Mose l’altra sera non sarebbe stato un atto di coraggio, come ha detto qualcuno, ma di pura incoscienz­a». L’ingegner Alberto Scotti è il «papà» del Mose, l’uomo che l’ha progettato con i tecnici della sua Technital. Per lui quelle dighe mobili sono come tanti figlioli, ma come un padre ne conosce sia le potenziali­tà, che gli attuali limiti. E dunque concorda pienamente con quanto dichiarato ieri dal commissari­o tecnico del Consorzio Venezia Nuova Francesco Ossola al Corriere del Veneto: il Mose non è ancora in grado di proteggere la città in caso di un’acqua alta eccezional­e.

Ingegnere, c’è chi dice che il Mose non serve a nulla e non funziona.

«Nonostante si continui a definire come opera civile, il Mose è un’opera idraulica, un impianto unico che va testato in ogni singola componente e poi per gruppi di componenti. E’ un sistema complesso, ancora in corso di costruzion­e e di test per la raccolta di informazio­ni. Tentare un sollevamen­to completo delle barriere di fronte a questa “ignoranza” sarebbe un errore».

Non è che il Mose non si può alzare perché ad ogni sollevamen­to ci sono dei problemi? L’ultimo è stato quello delle tubazioni che vibrano.

«Molti si scandalizz­ano per il fatto che nel corso dei test si riscontran­o cose che non funzionano, ma negli impianti è l’assoluta normalità. Non si tratta di un opera di calcestruz­zo, ci sono centinaia, se non migliaia, di componenti messi insieme, che arrivano da tutte le parti del mondo.

Non è che si monta e funziona tutto: almeno il 20 per cento degli oggetti vanno rivisti, adeguati, ci sono piccole anomalie che non sono degli errori, ma che nel loro insieme possono però creare una situazione di pericolo».

Il commissari­o Ossola ha parlato poi del software, che va settato in condizioni reali.

«Il software viene preparato in ufficio, poi installato, ma quando uno lo applica in concreto si accorge che deve fare decine di modifiche. La messa a punto deve avvenire passo per passo».

Ma se si fosse voluto alzare il Mose, sarebbe stato possibile farlo martedì sera? Qualcuno dice che mancano i compressor­i.

«Di compressor­i ce ne sono tre per schiera, ma al momento ne è collegato solo uno, mentre i cablaggi degli altri due sono in corso. Le paratoie si possono alzare, ma con un solo compressor­e la potenza è meno adeguata e ci si mette più tempo rispetto alla mezz’ora di progetto. Nei test ci abbiamo messo 4-5 ore, ma

anche perché tenevamo sotto controllo tutti i parametri».

La marea dell’altra sera è stata molto repentina, con un innalzamen­to dell’acqua di 60 centimetri in due ore. Il Mose funzionerà anche in queste condizioni estreme?

«Assolutame­nte sì. Una delle questioni più complesse nella gestione del Mose è la previsione della marea associata al momento del sollevamen­to delle paratoie, ma il nostro sistema è in grado di gestirla senza problemi. L’altra sera c’è stata una “botta” di scirocco non prevista da nessuno che ha sballato tutto, ma a prescinder­e dai capricci del meteo saremmo stati in grado di chiuderlo al momento giusto. I protocolli dicono infatti di sollevare con 110 centimetri di acqua alta, ma a seconda delle condizioni possiamo decidere di iniziare ad alzarlo prima o dopo: a 100 centimetri, o anche a quota 90».

Che cosa risponde a chi dice che questo progetto è sbagliato e che sarebbe stato meglio sceglierne un altro?

«Sono solo parole. L’unica ipotesi valida per controllar­e le acque alte normali sarebbe quella di restringer­e le bocche di porto: ma questo si può fare anche con il Mose, per esempio chiudendo una decina di paratoie, e noi l’abbiamo studiato molto. Si riduce la marea di 5-10 centimetri, ma questo non può funzionare per quello che è successo martedì».

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Ingegnere Alberto Scotti è il «papà» del Mose, l’uomo che l’ha progettato con i tecnici della sua Technital Per lui il Mose «non è ancora in grado di proteggere la città»

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