Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
VENEZIA CHE PUÒ SALVARE VENEZIA
Perché, dopo tutto quello che è successo con la nuova Acqua granda voterò «sì» al prossimo referendum del 1 dicembre? E perché preferisco dichiararlo? perché ho sempre cercato di essere esplicito, in vita mia, e del resto so che, altrimenti, la comunicazione nascosta passa in forme meno oneste. Dunque dirò quel che penso, pur nel limite dello spazio del giornale e ovviamente senza implicare una sua adesione al mio modo di vedere. Credo che, sulla vexata quaestio della separazione di Venezia da Mestre, convenga fare qualche considerazione terra-terra che però ha il vantaggio di essere evidente. In primo luogo sul linguaggio: non si vota per scegliere tra unione e separazione ma solo sulla separazione, perché l’unione c’è già. E l’unione si è accompagnata (o ha prodotto?), in tutti questi novant’anni di esistenza coatta voluta dal fascismo, al risultato di una catastrofe per Venezia e di un disastro per Mestre. Venezia ha perduto più di due terzi della sua popolazione, Mestre non ha sviluppato una propria identità di grande città, centrale per il Veneto. Insomma gli «unionisti» sono sempre stati al potere ma i risultati sono questi. Allora come fidarsi delle promesse sul futuro magnifico del Comune unito di Venezia e Mestre o della Città Metropolitana? I «separatisti», per lo meno, non hanno ancora potuto provare a realizzare i loro scopi. Creare un Comune di Venezia per poi poter chiedere uno statuto speciale?
Creare un Comune di Mestre per poterla porre al centro di una Città Metropolitana, magari allargata e, soprattutto, davvero funzionante? Mi sembrano, quanto meno, delle mete dotate di un certo fondamento ideale. Quel che mi sembra invece intollerabile è l’uso esclusivo di argomenti di natura economicistica, che negano il dato umano della realtà. Chi usa questi argomenti mostra di non curarsi affatto delle comunità umane, di badare solo ai «schei». Ma proprio l’ormai universale critica ad un neoliberismo cieco, alle disuguaglianze che crea e alla crisi democratica che induce, dovrebbe fare riflettere. Che a Venezia e a Mestre si viva in modi differenti e che a Venezia esistesse in passato (e in parte ancor ora esista) una comunità con un proprio stile di vita conseguente alla realtà sociale, storica, culturale, urbana di Venezia, dovrebbe essere ammesso tranquillamente. Ricordo che in passato un’affermazione del genere suscitava critiche di tutti i tipi (vent’anni fa mi presi perfino del razzista) perché allora si sosteneva l’esistenza di una sola città. Poi, man mano, si è ammesso che di due città si tratta, benché unite in un solo Comune. Era difficile continuare a negare una semplice realtà percettiva, del resto riconosciuta in tutto il mondo. Il che non vuol dire che si debbano invece negare i fortissimi legami che ci sono tra queste due città, ma che possono essere utili due istanze che le rappresentano, proprio per poter dialogare. Tra realtà diverse. Perché se Mestre diventasse una succursale veneziana per il turismo mordi e fuggi, andrebbe anch’essa incontro alla catastrofe. E se Venezia non ritrovasse una propria popolazione semplicemente sparirebbe, turismo compreso. Venezia ha davanti a sé, poi, un’altra catastrofe annunciata come quella accaduta in questi giorni: se il livello medio del mare si alzerà come prevedono gli scienziati, fra trent’anni Venezia finirà sommersa per metà dell’anno. Funzionerà il Mose? Se sì (ed è l’ipotesi migliore) la laguna resterà chiusa per quella metà dell’anno e morirà, con conseguenze tragiche non solo per l’ecosistema ma anche per la vivibilità di Venezia e delle isole. Per non parlare del porto. Ci sono programmi e progetti per impedire questa distruzione? Ricordo questa minaccia per sostenere che la battaglia che si dovrà sostenere per Venezia non potrà che essere centrata su Venezia-venezia e che richiederà un impegno enorme, forse europeo o internazionale, mentre il Comune di Mestre avrà tutt’altri problemi e prospettive.
Si può dare già per persa Venezia, come sembra fare Paolo Costa che la vede ormai inabitabile, se è vero quel che ha riportato questo giornale in occasione della presentazione del libro sulle «quattro Venezie»? O si può invece ritenere che la questione della esistenza di una stabile comunità umana a Venezia sia preliminare a qualsiasi altra questione? E allora quali programmi fare, che non siano i soliti piagnistei assistenzialistici sugli affitti e le case, per ridare vita alla città e assicurarne la persistenza? Solo un’istanza democratica legata strettamente al territorio, cioè un Comune di Venezia, sarà obbligata ad affrontare questi problemi, altrimenti la soluzione «facile» seguita finora, quella di spostare la popolazione in terraferma e di godere distruttivamente della rendita turistica e dell’uso del «brand» Venezia, continuerà ad essere perseguita. Perciò questo referendum ha, a mio avviso, un’altra domanda implicita, cui si deve rispondere: volete che Venezia esista come città o preferite lasciarla andare, come in fondo tante altre città del passato? Per favore lo si dica chiaramente.