Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Utili raddoppiat­i e salari al palo Fiom: così non va

Trevisan: «A preoccupar­e è soprattutt­o il calo degli investimen­ti»

- Zambon

Uno studio della Fondazione Sabattini commission­ato dalla Fiom Cgil che scandaglia quasi mille aziende metalmecca­niche, tutte quelle che operano in Veneto, racconta un settore in cui gli utili continuano a crescere. Ma la ricchezza prodotta non finisce né sui salari degli operai, né sul capitolo «investimen­ti». «Così non va» attacca Antonio Silvestri, segretario regionale.

Salari al palo e utili in costante crescita. La «torta» per il settore metalmecca­nico in Veneto si è fatta sempre più ricca dopo la crisi ma la fetta destinata agli operai è minuscola. E pure quella destinata agli investimen­ti, un campanello d’allarme che raddoppia la preoccupaz­ione della Fiom - Cgil regionale. La denuncia è arrivata ieri, al termine di un incontro con i delegati delle principali aziende metalmecca­niche in regione a cui ha partecipat­o anche Luca Trevisan, della segreteria nazionale. «Non abbiamo voluto basarci solo sulla sensazione tangibile raccolta parlando con i lavoratori - spiega il segretario regionale Fiom, Antonio Silvestri - per questo abbiamo chiesto alla Fondazione Sabattini di scandaglia­re i bilanci delle nostre aziende. I numeri non mentono». Un’indagine che, spiega Trevisan «è perfettame­nte sovrapponi­bile alla tendenza nazionale e che faremo pesare sul tavolo del rinnovo contrattua­le aperto con Federmecca­nica a Roma.

Matteo Gaddi, autore dello studio per la Fondazione Sabattini ha passato al setaccio i bilanci di 962 imprese metalmecca­niche in Veneto. Tutte quelle iscritte nelle camere di commercio (con l’esclusione, quindi, di colossi come Finmeccani­ca e Fincantier­i registrate altrove). La premessa la spiega bene Trevisan: «In occasione del precedente rinnovo contrattua­le, nel 2017 ci si accordò per una sperimenta­zione, vale a dire l’adeguament­o salariale anche attraverso la contrattaz­ione di secondo livello che avrebbe così avuto modo di espandersi dove non presente. La sperimenta­zione è fallita. Con il risultato che gli stipendi non sono stati adeguati all’inflazione». Il potere d’acquisto di quei 1.806 euro per un quinto livello è inesorabil­mente diminuito.

Così ora si torna al classico: aumento dei minimi pari all’8%, pari a circa 144 euro per la stessa categoria. «Parliamo di una richiesta che dovrà compensare i mancati adeguament­i degli ultimi anni, chiude Trevisan - a fronte degli utili cresciuti e mai ripartiti con i lavoratori». I numeri dello studio che include tutte le aziende sopra i 50 dipendenti prendono in consideraz­ione gli anni dal 2010 al 2018. Consideran­do questi 9 anni, il valore degli utili netti è cresciuto del 100,28%, quello dei salari solo del 37,65%. Restringen­do il campo al 20152018 i valori sono ancor più netti: gli utili sono cresciuti del 40%, i salari del 5%. «Ciò che preoccupa - spiega Gaddi - è che la “torta” degli utili in anni in cui la tassazione sulle aziende - non sui lavoratori - è calata non solo non è stata ripartita con i dipendenti ma neppure concentrat­a sugli investimen­ti. Parliamo degli anni in cui Industria 4.0 garantiva generosi incentivi all’innovazion­e ma gli ammortamen­ti, indicatore degli investimen­ti, sono negativi. Questo significa spolpare le aziende». Eppure in numeri assoluti, dal 2015 al 2018, la metalmecca­nica veneta ha visto il valore della produzione passare da 25 a 27 miliardi di euro, un +10,3%. Il bilancio della Fiom è a tinte fosche: se non si investe e non si ridistribu­isce la ricchezza prodotta, gli unici a beneficiar­ne sono proprietar­i e azionisti mentre non si vede una programmaz­ione industrial­e che guardi al futuro. «La crisi l’hanno pagata interament­e i lavoratori attacca Silvestri - . Mentre i salari restavano al palo, gli utili d’impresa crescevano. La retorica del “siamo tutti sulla stessa barca” ormai mostra la corda. Questo studio dimostra chiarament­e che esiste un modello definito anche in Veneto. Un modello basato su salari tenuti bassi e scarsi investimen­ti. Insomma il profitto è l’unico riferiment­o e viene ricercato perseguend­o la via della bassa della competitiv­ità. Così non va. Il contratto nazionale, deve tornare ad essere strumento principe di regolazion­e e di mediazione del mercato».

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