Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Contrabbando di Rolex, 4 arresti
Hanno portato in Italia orologi di lusso per 11 milioni con la complicità di un finanziere Fermati anche due trevigiani, perquisizioni per rintracciare la merce in 54 gioiellerie
Hanno fatto entrare orologi di lusso per 11 milioni in Italia, per lo più Rolex, senza pagare le tasse grazie alla complicità di un finanziere in servizio all’aeroporto di Venezia. Il militare insieme ad un napoletano e due trevigiani è stato arrestato e ieri erano in corso perquisizioni a 54 gioiellerie che hanno rivenduto la merce contrabbandata (senza saperlo).
Trecento, anche trecentocinquanta orologi alla volta. Per la maggior parte Rolex, tutti originali e qualcuno del valore anche di oltre 20mila euro, nascosti nei bagagli a mano. In stiva, invece, ci finivano le scatole, contraffatte.
Li compravano a Hong Kong e poi li rivendevano alle gioiellerie italiane, portandoli in Italia senza dichiararli, quindi senza pagare i dazi. Lo hanno fatto per molto tempo anche grazie alla complicità di un finanziere in servizio alla compagnia di Tessera, all’aeroporto Marco Polo, che in cambio di tangenti li copriva, facendo in modo che non venissero fermati per un controllo bagagli all’interno dello scalo. Complessivamente Vito Romano, 48enne di Breda di Piave, il figlio Pietro, 21enne, e Luca Silvestri, 44enne napoletano, commercianti di orologi di lusso, in un anno sono riusciti a importare Rolex per 11 milioni di euro, evadendo 2,4 milioni di euro di imposte.
Ieri i tre sono stati arrestati dalle fiamme gialle del gruppo di Tessera e del nucleo metropolitano di Venezia insieme al finanziere che li ha aiutati, Nicola Rosa, 44enne di Lanciano (Chieti). Vito Romano è finito in carcere mentre gli altri tre ai domiciliari con un’ordinanza firmata dal gip di Venezia Gilberto Stigliano Messuti su richiesta del pm Stefano Ancilotto. «Le indagini sono cominciate a inizio anno monitorando i movimenti dei passeggeri allo scalo di Tessera – spiega il comandante provinciale della guardia di finanza, Gennaro Avitabile -. Ci siamo concentrati sui viaggi da e per Hong Kong, scoprendo che una serie di persone introducevano di contrabbando grandi quantità di orologi di lusso avvalendosi dei favori di un finanziere che li agevolava». Dietro a un «compenso» pari a ad alcune migliaia di euro ogni volta, secondo le indagini Nicola Rosa faceva transitare i commercianti nei varchi riservati agli operatori di polizia o li accompagnava personalmente in modo che i colleghi in servizio insieme a lui non li fermassero per un controllo.
I tre rappresentanti di orologi erano molto attenti quando si muovevano. Non appena atterravano, infatti, si separavano e fingevano di non conoscersi per non destare sospetti. «Ci dispiace che un finanziere sia implicato – continua Avitabile – ma è importante che il Corpo sia stato capace di individuare qualcosa che non andava bene al proprio interno».
I viaggi per importare la merce avvenivano una volta al mese: i commercianti si recavano ad Hong Kong per approvvigionarsi, comprando i Rolex soprattutto alle aste, e ne avrebbero importati almeno 2mila, tra nuovi e di secondo polso, senza pagare l’iva. In alcune occasioni sarebbero rientrati in Italia atterrando a Roma Fiumicino e a Napoli Capodichino, qui con la complicità di alcuni funzionari doganali le cui posizioni sono ancora al vaglio degli investigatori.
Una volta importati, gli orologi sono stati rivenduti a 54 gioiellerie in tutta Italia, i cui titolari sembra non fossero consapevoli della frode ma che ieri sono stati oggetto di perquisizioni.
Tra domenica e lunedì i finanzieri, oltre ad eseguire le misure cautelari, hanno effettuato una serie di perquisizioni e un sequestro preventivo pari a 2,4 milioni di euro, che corrispondono all’iva non versata, trovando altri 500 orologi, 600mila euro in contanti e un lingotto d’oro del peso di un chilo.
Le indagini continueranno anche sul fronte delle società che facevano capo ai commercianti di orologi, con sede in diverse zone d’europa, come Austria e Bulgaria, oltre che nel Trevigiano e nel Vicentino, usate secondo la Finanza per emettere fatture false che giustificavano la movimentazione delle merci.