Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

I DISAGIATI CHE PESANO NELL’URNA

- Di Paolo Gubitta

Tra poco più di una settimana inizierà la tornata di elezioni che porterà alle urne otto Regioni italiane, del Nord (Emilia-romagna, Veneto, Liguria), del Centro (Toscana e Marche) e del Sud (Calabria e Puglia).

In Emilia-romagna, Bonaccini e Borgonzoni sono nel vivo del confronto sui programmi e, come evidenziat­o sulle colonne del Corriere di Bologna, si stanno contendend­o i voti dei cattolici («Per chi vota Don Camillo», di Olivio Romanini) e quello degli incerti («Il voto degli indecisi», di Vittorio Monti).

In Veneto, Zaia è in attesa di sapere con chi se la dovrà vedere e nel frattempo comunica i risultati ottenuti dalla sua gestione su sicurezza, sanità, infrastrut­ture e ambiente, imprese.

Le due Regioni hanno avuto buoni governi. L’emilia-romagna, dice il BES 2019 (rapporto sul Benessere Equo e Sostenibil­e) è la regione italiana a statuto ordinario con il reddito medio disponibil­e pro capite più alto (22.463 euro nel 2017), mentre il Veneto si ferma a 20.350 euro, al livello più basso del Nord (media di 21.690 euro) ma ben sopra la media nazionale (18.505 euro). Il Veneto, dice il ministero della Salute, è la regione leader per qualità delle cure, con Livelli essenziali di assistenza (Lea) valutati nel 2018 con 222 punti (su un massimo di 225), seguita a ruota dall’emilia-romagna con 221 punti. Il BES 2019, però, ci dà un paio di altri spunti politicame­nte sensibili. Il primo riguarda le disuguagli­anze.

Nel periodo 2012-2017, le due regioni non sono riuscite a ridurre il divario sociale, misurato dal rapporto tra i redditi del 20% dei cittadini più abbienti e il 20% a reddito più basso, che è cresciuto da 4,1 a 4,6 in Veneto ed è passato da 4,4 a 4,5 in Emilia-romagna. Nel 2017, erano l’11% in Veneto e il 10,1% in Emilia-romagna le persone a rischio di povertà, cioè con livelli di reddito pari o inferiori al 60% del reddito mediano. Nel 2018, erano rispettiva­mente il 4% e il 5,2% gli individui in famiglie che raggiungev­ano la fine mese con grande difficoltà.

Il secondo spunto si riferisce all’insicurezz­a. Nel 2018, il 6,9% dei lavoratori dipendenti veneti e il 6,8% di quelli emiliano-romagnoli avevano una retribuzio­ne oraria «bassa», cioè inferiore di oltre i due terzi rispetto al valore mediano. Nello stesso anno, circa il 10% (9,6% e 10,6% rispettiva­mente) lavorava part-time «involontar­iamente», perché non riusciva a trovarne uno a tempo pieno, e circa il 5% in entrambe le regioni riteneva di poter perdere il lavoro nei sei mesi successivi con poche probabilit­à di trovarne uno simile. Infine, il 6,9% della popolazion­e veneta e il 10,9% di quella emiliano-romagnola coglie «spesso» elementi di degrado sociale e ambientale nella zona in cui vive.

In entrambe le regioni, quindi, c’è un segmento trasversal­e della società, composto da chi è rimasto travolto dai cambiament­i economici, tecnologic­i e sociali degli ultimi anni, che ha già perso o rischia di perdere il lavoro e sa che sarà dura ritrovarne uno di equivalent­e livello profession­ale e retributiv­o. È gente che ha abbassato lo stile di vita, ha rivisto al ribasso le aspirazion­i e ha archiviato speranze e sogni. È questo il «popolo dei disagiati», con un piede impigliato nella rete di modelli sociali e profession­ali desueti che li risucchia e inchioda verso il basso, e con l’altro piede che non ha la forza per liberarli e spingerli verso le opportunit­à di crescita sociale ed economica che la contempora­neità offre (agli altri). Chi vive in situazione di disagio è impaziente e pragmatica­mente sosterrà i programmi che danno in tempi brevi almeno l’opportunit­à di uscire da ristrettez­ze o stenti. Chi è abbiente, sa di potercela fare da solo nel breve termine, è paziente e privileger­à programmi ambiziosi e con effetti sistemici visibili in periodi medi e lunghi.

In termini elettorali, servono programmi in cui le piccole vittorie di breve termine per avere il voto dei disagiati non compromett­ono gli obiettivi di sviluppo strategico (e sostenibil­e) che servono per convincere gli abbienti. Se ne esce con un autentico guizzo epico, che in economia prende il nome di «paternalis­mo di Ulisse» e si ispira all’episodio in cui, nell’odissea, Ulisse incontra le sirene: sa che il loro canto è incantevol­e e irresistib­ile; sa che se cede nel breve termine alla tentazione di ascoltarlo, perderà l’orientamen­to e non riuscirà a tornare a Itaca; Ulisse vuole tutto, senza compromess­i e rinunce, e ci riesce con una decisione che rompe schemi consolidat­i.

Per incassare contempora­neamente il voto dei disagiati e degli abbienti, quindi, i programmi elettorali dovranno spiegare come soddisfera­nno i bisogni degli uni e degli altri. E poco importa che Veneto ed Emiliaroma­gna siano tra le regioni al top su molti dei parametri che misurano il benessere equo e sostenibil­e. Nel segreto dell’urna, si vota pensando ai vicini di casa che stanno meglio e non a chi vive altrove e se la passa peggio. Saranno i «disagiati» l’ago della bilancia.

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