Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
I DISAGIATI CHE PESANO NELL’URNA
Tra poco più di una settimana inizierà la tornata di elezioni che porterà alle urne otto Regioni italiane, del Nord (Emilia-romagna, Veneto, Liguria), del Centro (Toscana e Marche) e del Sud (Calabria e Puglia).
In Emilia-romagna, Bonaccini e Borgonzoni sono nel vivo del confronto sui programmi e, come evidenziato sulle colonne del Corriere di Bologna, si stanno contendendo i voti dei cattolici («Per chi vota Don Camillo», di Olivio Romanini) e quello degli incerti («Il voto degli indecisi», di Vittorio Monti).
In Veneto, Zaia è in attesa di sapere con chi se la dovrà vedere e nel frattempo comunica i risultati ottenuti dalla sua gestione su sicurezza, sanità, infrastrutture e ambiente, imprese.
Le due Regioni hanno avuto buoni governi. L’emilia-romagna, dice il BES 2019 (rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile) è la regione italiana a statuto ordinario con il reddito medio disponibile pro capite più alto (22.463 euro nel 2017), mentre il Veneto si ferma a 20.350 euro, al livello più basso del Nord (media di 21.690 euro) ma ben sopra la media nazionale (18.505 euro). Il Veneto, dice il ministero della Salute, è la regione leader per qualità delle cure, con Livelli essenziali di assistenza (Lea) valutati nel 2018 con 222 punti (su un massimo di 225), seguita a ruota dall’emilia-romagna con 221 punti. Il BES 2019, però, ci dà un paio di altri spunti politicamente sensibili. Il primo riguarda le disuguaglianze.
Nel periodo 2012-2017, le due regioni non sono riuscite a ridurre il divario sociale, misurato dal rapporto tra i redditi del 20% dei cittadini più abbienti e il 20% a reddito più basso, che è cresciuto da 4,1 a 4,6 in Veneto ed è passato da 4,4 a 4,5 in Emilia-romagna. Nel 2017, erano l’11% in Veneto e il 10,1% in Emilia-romagna le persone a rischio di povertà, cioè con livelli di reddito pari o inferiori al 60% del reddito mediano. Nel 2018, erano rispettivamente il 4% e il 5,2% gli individui in famiglie che raggiungevano la fine mese con grande difficoltà.
Il secondo spunto si riferisce all’insicurezza. Nel 2018, il 6,9% dei lavoratori dipendenti veneti e il 6,8% di quelli emiliano-romagnoli avevano una retribuzione oraria «bassa», cioè inferiore di oltre i due terzi rispetto al valore mediano. Nello stesso anno, circa il 10% (9,6% e 10,6% rispettivamente) lavorava part-time «involontariamente», perché non riusciva a trovarne uno a tempo pieno, e circa il 5% in entrambe le regioni riteneva di poter perdere il lavoro nei sei mesi successivi con poche probabilità di trovarne uno simile. Infine, il 6,9% della popolazione veneta e il 10,9% di quella emiliano-romagnola coglie «spesso» elementi di degrado sociale e ambientale nella zona in cui vive.
In entrambe le regioni, quindi, c’è un segmento trasversale della società, composto da chi è rimasto travolto dai cambiamenti economici, tecnologici e sociali degli ultimi anni, che ha già perso o rischia di perdere il lavoro e sa che sarà dura ritrovarne uno di equivalente livello professionale e retributivo. È gente che ha abbassato lo stile di vita, ha rivisto al ribasso le aspirazioni e ha archiviato speranze e sogni. È questo il «popolo dei disagiati», con un piede impigliato nella rete di modelli sociali e professionali desueti che li risucchia e inchioda verso il basso, e con l’altro piede che non ha la forza per liberarli e spingerli verso le opportunità di crescita sociale ed economica che la contemporaneità offre (agli altri). Chi vive in situazione di disagio è impaziente e pragmaticamente sosterrà i programmi che danno in tempi brevi almeno l’opportunità di uscire da ristrettezze o stenti. Chi è abbiente, sa di potercela fare da solo nel breve termine, è paziente e privilegerà programmi ambiziosi e con effetti sistemici visibili in periodi medi e lunghi.
In termini elettorali, servono programmi in cui le piccole vittorie di breve termine per avere il voto dei disagiati non compromettono gli obiettivi di sviluppo strategico (e sostenibile) che servono per convincere gli abbienti. Se ne esce con un autentico guizzo epico, che in economia prende il nome di «paternalismo di Ulisse» e si ispira all’episodio in cui, nell’odissea, Ulisse incontra le sirene: sa che il loro canto è incantevole e irresistibile; sa che se cede nel breve termine alla tentazione di ascoltarlo, perderà l’orientamento e non riuscirà a tornare a Itaca; Ulisse vuole tutto, senza compromessi e rinunce, e ci riesce con una decisione che rompe schemi consolidati.
Per incassare contemporaneamente il voto dei disagiati e degli abbienti, quindi, i programmi elettorali dovranno spiegare come soddisferanno i bisogni degli uni e degli altri. E poco importa che Veneto ed Emiliaromagna siano tra le regioni al top su molti dei parametri che misurano il benessere equo e sostenibile. Nel segreto dell’urna, si vota pensando ai vicini di casa che stanno meglio e non a chi vive altrove e se la passa peggio. Saranno i «disagiati» l’ago della bilancia.