Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Marzotto su Bpvi: «Sono sconvolto e pentito di non essermi dimesso»

L’imprendito­re al processo per il crac: «Ma delle baciate in cda non si parlava»

- Nicoletti

scosso, ma sconvolto per com’è andata a finire. E sono pentito per non essermi dimesso dal Consiglio di amministra­zione». Così Matteo Marzotto, ex componente del cda di Bpvi, sentito ieri in aula per il processo.

«Non scosso, ma sconvolto per com’è andata a finire Bpvi. Per i patrimoni di persone che hanno lavorato tutta la vita, per il nostro territorio, la sua reputazion­e, quella delle sue aziende». Prestatesi però al gioco di costruire con le «baciate» capitale finto per un miliardo. «No, sconvolto e mortificat­o per chi in questo territorio non ragiona così. E sono la maggior parte». E delle «baciate»? «Non se ne parlava in cda. Scusate, non avevo un’azione, un euro di credito dalla banca: secondo voi, se se ne fosse parlato sarei rimasto in cda? Non avevo di meglio da fare?». Che incubo quella banca. Del sorriso di sempre non c’è traccia nemmeno quando tira le fila davanti ai giornalist­i, dopo un’ora e mezza di deposizion­e, del suo passaggio nel cda in Popolare di Vicenza, Matteo Marzotto, 53 anni, l’imprendito­re, il manager e il volto più noto ed elegante della dinastia industrial­e di Valdagno. Teso, ieri, sul banco dei testimoni del processo per il crac. Al punto di alzarsi, ringraziar­e e fare per andar via, sperando che sia già finita, di poter allontanar­e quel calice, tra la fine delle domande del pm Gianni Pipeschi e l’inizio di quelle degli avvocati.

Marzotto ricostruis­ce più il clima che fatti davvero significat­ivi, sul suo periodo in cda, dal dicembre 2014. Scivola via senza nomi, tanto che magistrati e avvocati lo incalzano spesso per chiedere a chi si riferisca quando dice «quella persona lì». In banca come ci arriva, gli chiede il Pm. Marzotto ricostruis­ce il suo ritorno a Vicenza a fine 2013, le presidenze del Cuoa e della Fiera. Arriva l’invito al pranzo prima del cda di Bpvi, poi quello ad entrarvi, fatto direttamen­te da Zonin: «Frequentav­o una città che non conoscevo. E all’epoca, della banca, lo sapete tutti, si dicevano cose mirabolant­i. Mi ha fatto anche piacere la proposta di entrare. Evidente, se avessi immaginato anche solo una frazione di quel che poi è successo me ne sarei tenuto lontano». E Zonin lo conosceva?, chiede il Pm. «Era una vecchia conoscenza e c’erano rapporti di cordialità è la replica -. Poi in famiglia erano cacciatori come lui... si può immaginare».

Marzotto mette a fuoco una serie di aneddoti. Pipeschi gli chiede della visita della Bce a Vicenza, in Bpvi, e della riunione con il cda di Muriel Tiesset, la dirigente francese della vigilanza. L’ispezione 2015 era già iniziata?, è la domanda. «Per come ci trattarono direi di sì - risponde Marzotto -. Vennero un sabato, perché mi ricordo che avrei voluto uscire in bicicletta. Fummo citati come consiglier­i non adeguati. Disse proprio così, in inglese. Le risposi che non eravamo lì per essere dei tecnocrati. Erano tutti vestiti di nero con la cravatta nera. Mi dico: ‘Ma cos’è, l’inquisizio­ne?’ Un minuto dopo ho pensato che sarebbe stato da dare le dimissioni. Forse sarebbe stata una benedizion­e».

Ma il peggio deve ancora arrivare. Lo spartiacqu­e Marzotto

lo colloca a metà maggio, quando saltano fuori le lettere di impegno, le «baciate» e il direttore generale Samuele Sorato viene messo alla porta: «Un’accelerazi­one compulsiva, si chiamava un cda ogni altro giorno. Mi sembrava incredibil­e. Uno choc di cui avrei fatto volentieri a meno». E ancora: «Le lettere mi sembravano un’enormità: il capitale si costituisc­e in altro modo. La cacciata di Sorato mi sembrò tempestiva, il minimo di fronte allo spuntare di 50-60 lettere d’impegno». Ma la banca gli paga l’uscita, gli ricorda l’avvocato di parte civile Renato Bertelle. «C’erano contratti, accordi che bisognava approfondi­re e semmai poi rivalersi», è la replica.

Poi Marzotto racconta la sfuriata quando arriva l’informativ­a sui fondi maltesi: «Soldi per acquistare fondi Azimut per liquidità, girati per comprare fondi chiusi, maltesi, i cui proponenti si sa che è gente da cui una banca con una reputazion­e doveva stare distante. Ho reagito malissimo». Invece, di choc in choc, Marzotto si trova a maggio addirittur­a Alfio Marchini, l’imprendito­re del mattone finanziato attraverso quei fondi, a Roma ad un premio, nella Sala della Lupa di Montecitor­io, che vuole sedersi vicino a Zonin. «Dissi al presidente: ‘Ma tu lo conosci?’ Disse di no. Feci una faccia come a dirgli ‘stagli alla larga’. Chiunque lo sapeva a Roma e fuori Roma, in Italia e in Spagna. E poi scopro invece che la banca ci ha fatto affari».

Marzotto svela anche di aver avuto un ruolo nell’arrivo del nuovo amministra­tore delegato, Francesco Iorio: «Lo avevo conosciuto in Ubi, era un manager qualificat­o, mi aveva fatto una buona impression­e. Dissi che lo conoscevo, che se serviva avrei potuto creare il contatto. Lo incontrai in un ristorante a Verona». Ed esprime giudizi duri sul capo dell’internal audit, Massimo Bozeglav: «Mi sembrava un pugile suonato mentre avrebbe dovuto essere un paladino... Certe cose dovevano saltar fuori prima». Con un ultimo rimorso: «Mi pento di non essermi dimesso. Ma ci avevano chiesto di restare fino al passaggio in spa. C’era sempre un motivo per cui rimanere. Accidenti a me».

” Zonin era una vecchia conoscenza In famiglia erano cacciatori come lui

La Bce definì il cda inadeguato Risposi che non eravamo tecnocrati

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Calvario Matteo Marzotto, sul banco dei testimoni, ieri, di fronte a Zonin

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