Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
MAFIA, IL VENETO NON NEGHI
«Imafiosi hanno una mente criminale come don Rodrigo, ma il cuore di don Abbondio». Un’efficace espressione pronunciata dal pubblico ministero veneziano Roberto Terzo ben descrive il tipo di persone che sono i cosiddetti boss. Anche in Veneto.
Bulli, che nella società, come a scuola, esercitano la violenza di gruppo per intimidire e soggiogare ai loro desiderata il territorio in cui vivono e operano. Bulli che vorrebbero una società fondata sulla gerarchia, dove pochi comandano e tutti gli altri obbediscono, dove i diritti dovrebbero lasciare campo libero ai favori. Dove la libertà dovrebbe essere sostituita dalla servitù.
Il problema non è solo che i mafiosi (e i bulli) esistono. È che, se non si cerca di fermarli, pian piano guadagnano terreno. I mafiosi sono forti non perché sono dei superman, ma in quanto, anche nella società cosiddetta civile, essi sanno di poter contare, da una parte, sulla paura di tanti che preferiscono subire piuttosto che denunciare e, dall’altra, sulla complicità e la connivenza di quell’area grigia composta da insospettabili imprenditori, liberi professionisti, banchieri, politici, dipendenti pubblici e membri delle forze di polizia che si mettono al loro servizio. Questa complicità e questa connivenza, generate e cementate dalla ricerca di ricchezza e di potere, rappresentano l’humus di quel consenso sociale di cui i mafiosi, anche al nord, si nutrono da svariati decenni.
Nelle quindici pagine dell’ultima Relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia), dedicate al Veneto, si legge che dalle inchieste giudiziarie è emerso come «imprenditori e comuni cittadini si rivolgono ai criminali per ogni tipo di problematica economica o privata, venendone così assoggettati». C’è chi si è rivolto ai mafiosi per avere un prestito o recuperare un credito, per smaltire rifiuti, per offrire informazioni riservate, per l’emissione di fatture false con cui coprire la corruzione e il riciclaggio di denaro sporco. Le denunce per associazione mafiosa in Veneto, evidenzia la Dia, sono passate dalle 28 del 2015 alle 60 del primo semestre 2019, registrando un aumento del 114%. Inchieste come quelle denominate Fiore reciso, Ciclope, Terry, Aemilia, At Last, Camaleonte – segno di un apparato investigativo e giudiziario che in Veneto ha cambiato decisamente passo negli ultimi anni – hanno portato alla luce la presenza, in particolare nelle province di Padova, Verona e Venezia, di tutte le mafie e di alcuni clan: ‘ndragheta (Grande Aracri), camorra (Casalesi), cosa nostra (Rinzivillo), Sacra Corona unita (Di Cosola).
Non mancano anche le mafie straniere, in particolare quella nigeriana e albanese, dedite soprattutto al traffico di stupefacenti, riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione.
La relazione della Dia documenta come le mafie in Veneto sono penetrate innanzitutto nell’economia – frequente è il legame tra il reato di associazione mafiosa e quelli di criminalità economica, come testimoniano i dati sul reato di riciclaggio passati dai 352 del 2015 ai 696 del primo semestre 2019 (+ 98%) – e si sono inserite anche alla politica, condizionandola, come dimostrerebbe l’arresto del Sindaco di Eraclea, comune che rischia di passare tristemente alla storia come il primo ad essere sciolto per infiltrazione mafiosa nel Nordest.
L’infiltrazione mafiosa in Veneto, che si è ormai trasformata in radicamento, è avvenuta in modo silente, utilizzando molto spesso la corruzione e godendo di un’aura di omertà e complicità che è più diffusa di quanto si pensasse. Non vi è più spazio per il negazionismo o la sottovalutazione.