Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Acc, scatta già l’effetto Castro sul salvataggio
Cambio di clima da messa in sicurezza e ritorno vicino del manager
Sul salvataggio-bis dell’acc scatta già l’effetto Castro. Il probabile ritorno del manager come commissario e la messa in sicurezza dell’azienda rilanciano già i numeri della produzione ne 2020.
La storia dell’acc di Mel pare ripetersi, ma è tutt’altro che identica rispetto a sette anni fa. E mancano pure alcuni passaggi tecnici prima di poter affrontare ragionamenti formalmente ineccepibili. Ma il denominatore comune e sigillo di garanzia è il volto di Maurizio Castro, commissario straordinario in pectore, sceso due giorni fa al ministero per lo Sviluppo economico con uno schema su cosa si possa e si debba fare per risollevare le sorti della fabbrica di compressori e dei suoi 290 lavoratori. Un percorso che, in sostanza, coincide con la ricerca di un soggetto che la riacquisisca per agganciarla ad uno scenario sulla carta migliore rispetto al passato.
Il manager di Vittorio Veneto non è ancora stato nominato e non si sbilancia. Però alternative a lui, per conoscenza del caso e la inossidabile fiducia sul possibile rilancio, non ce ne sono. «In lui credono il territorio, il sindacato, la Regione, il Mise – sottolinea Stefano Bona, segretario della Fiom Cgil di Belluno –. E nessuno come lui conosce con tale profondità la storia di Acc, fin dai tempi in cui era responsabile del personale di Electrolux che dell’impianto di Mel era proprietaria. E poi Castro ha rapporti diretti con fornitori e clienti che sa utilizzare al meglio, forte di un’esperienza almeno ventennale».
I clienti sono i grandi colossi del freddo europei. Electrolux, appunto, che da sola acquista il 70% dei compressori di Acc. Poi Bosch, Whirlpool, Liebherr, tutti interessati alla permanenza della fabbrica in Europa, dato che lo stabilimento austriaco di Fürstenfeld, della tedesca Secop, gemello di Acc, sta per chiudere. Venisse a mancare anche Mel non rimarrebbero altre soluzioni che far arrivare il cuore di ogni macchina refrigeratrice, dalla lontana Asia lungo rotte navali lente e costose. Ipotesi da scongiurare.
E non sarà per caso, dunque, se già oggi, a fronte dei soli rumors sul ritorno di Castro, le previsioni di produzione per il 2020 nello stabilimento bellunese sono balzate a 2,2 milioni di pezzi contro gli 1,6 dello scorso anno. Tanto che si perviene ad un fenomeno mai osservato prima in assoluto in Italia. Cioè che una fabbrica tecnicamente sulle soglie del fallimento si trovi a pensare di dover assumere personale (con la speranza del sindacato che si vada a pescare fra i 90 messi in disoccupazione da Wanbao) non appena la gestione commissariale sarà accordata.
Effetto Castro. Di mercato che crede a Castro e viceversa. Manager di Electrolux sul finire degli anni Novanta, per conto degli svedesi è stato vice presidente del settore (guarda caso) componenti a livello mondo. A lui, in veste di direttore delle risorse umane, si devono i più avanzati modelli partecipativi che rappresentarono a lungo un esempio sul panorama nazionale prima di essere smontati in schemi ordinari, da Stoccolma, dopo la sua partenza.
L’amicizia e la collaborazione con Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse nel 2002, lo costrinsero a vivere sotto scorta a più riprese, compresi gli anni in cui fu senatore per il Popolo della Libertà, fra il 2008 ed il 2013, quando rivestì, fra gli altri incarichi, quello di capogruppo alla Commissione lavoro di Palazzo Madama. Nel decennio scorso Castro ha avuto lo spazio per diventare direttore generale dell’inail mentre ora si occupa di formazione di manager alla Cuoa Business School.
Dove potrà cercare investitori migliori di Wanbao (unica a presentare un’offerta vera nel 2013) è tutto da verificare. I tempi sono cambiati, se gli asiatici sono ancora i candidati più probabili, dall’emergente Jiaxipera al più consolidato Donper, oggi l’affare Acc potrebbe cominciare a non essere più precluso a compratori europei, italiani compresi.
Ad allargare lo scenario, ed è un regalo in più che arriva dall’universo del 4.0, è la trasformazione in senso digitale dell’oggetto-compressore. Componente rimasto intimamente uguale a se stesso dall’invenzione del frigorifero e per tutti gli anni a seguire, solo ora intercetta interessanti spazi di evoluzione elettronica, anche collegati a nuovi standard connessi alla «velocità variabile» dei motori. Tecnicismi a parte, il compressore si presta a diventare un prodotto sofisticato, con margini importanti che lo spostano da una sostenibilità solo nei grandi numeri e dunque appetibile da imprese anche di taglio medio.
E quanto vale l’impianto di Mel? Zero, se si tratta solo di acquistarlo. Per farlo funzionare e portarlo a livelli di eccellenza, sia manageriale sia in termini di qualità del prodotto, una decina di milioni o poco più, stimano gli esperti, potrebbero anche bastare. Dunque, poco: una fabbrica nuova costerebbe dieci volte tanto. Messa così, pur essendo solo teoria, sembra quasi un affare.