Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
REDDITI, IL GAP SOCIALE
Dice un antico proverbio yiddish che ognuno è impastato nella stessa pasta ma non cotto nello stesso forno.
Una frase che riflette la tipica sapienza amara degli ebrei ma che purtroppo sintetizza anche la realtà attuale. Una realtà – quella della disuguaglianza dei redditi – che secondo gli ultimi dati di Eurostat (l’istituto di statistica europeo) si presenta con quattro aspetti negativi e uno (solo) positivo.
Il primo aspetto negativo è che l’italia, tra i paesi più popolosi dell’unione Europea, presenta il grado di disuguaglianza più alto: tradotto in cifre ciò significa che nel nostro paese c’è un 20 per cento della popolazione che raggranella entrate pari a sei volte quelle del 20 per cento più povero.
Il secondo punto da sottolineare è che nel tempo il divario si è accresciuto, pur non raggiungendo il picco avutosi nel 2016.
Il terzo aspetto da considerare è che la disuguaglianza rende insopportabilmente disuguali anche i territori, dato che la disuguaglianza più bassa si ha nella provincia di Bolzano, in Friuli, in Veneto ed in Umbria; si fa massima, viceversa, in Sicilia ed in Campania.
Infine la disuguaglianza taglia, come un coltello affilato, anche le risorse delle generazioni: infatti tra gli ultrasessantacinquenni lo status di pensionati contiene le disuguaglianze, che esplodono invece tra gli under 65.
Ciò rende più comprensibile la recente proposta del Forum delle disuguaglianze e diversità di dare ad ogni diciottenne 15 mila euro che potrebbe investire negli studi o nel creare una attività autonoma. Essendo infatti bloccato da anni l’ascensore sociale, chi ha i genitori di classe povera ha il 32% delle possibilità di rimanere povero e solo il 12% di approdare alla classe ricca. L’opposto invece per chi proviene da una famiglia ricca. Il solo aspetto positivo, almeno per quanto ci riguarda, è che nel Nordest e in particolare in Veneto e Friuli la disuguaglianza dei redditi è, come si diceva, assai più contenuta. Qui si può discettare se questo dipende dalla storia della nostra industrializzazione diffusa, del capitalismo popolare e familiare, dello sviluppo della figura sociale del «metalmezzadro» che, innestandosi sulla antica piccola proprietà agricola appoderata, avrebbe permesso uno sviluppo senza troppi «estremismi di reddito». Rimane il fatto che – per riprendere il proverbio yiddish prima citato – i forni in cui siamo cotti si stanno moltiplicando all’infinito, sventagliando così le disuguaglianze economiche e non solo economiche. Le regioni meno disuguali ci insegnano comunque che la ricchezza non necessariamente deve accompagnarsi all’asprezza della disuguaglianza. La storia del Nordest, anzi, ci suggerisce che lo sviluppo diffuso ha reso (abbastanza) diffusa anche la ricchezza che ha prodotto. Almeno finora.