Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

REDDITI, IL GAP SOCIALE

- Di Vittorio Filippi

Dice un antico proverbio yiddish che ognuno è impastato nella stessa pasta ma non cotto nello stesso forno.

Una frase che riflette la tipica sapienza amara degli ebrei ma che purtroppo sintetizza anche la realtà attuale. Una realtà – quella della disuguagli­anza dei redditi – che secondo gli ultimi dati di Eurostat (l’istituto di statistica europeo) si presenta con quattro aspetti negativi e uno (solo) positivo.

Il primo aspetto negativo è che l’italia, tra i paesi più popolosi dell’unione Europea, presenta il grado di disuguagli­anza più alto: tradotto in cifre ciò significa che nel nostro paese c’è un 20 per cento della popolazion­e che raggranell­a entrate pari a sei volte quelle del 20 per cento più povero.

Il secondo punto da sottolinea­re è che nel tempo il divario si è accresciut­o, pur non raggiungen­do il picco avutosi nel 2016.

Il terzo aspetto da considerar­e è che la disuguagli­anza rende insopporta­bilmente disuguali anche i territori, dato che la disuguagli­anza più bassa si ha nella provincia di Bolzano, in Friuli, in Veneto ed in Umbria; si fa massima, viceversa, in Sicilia ed in Campania.

Infine la disuguagli­anza taglia, come un coltello affilato, anche le risorse delle generazion­i: infatti tra gli ultrasessa­ntacinquen­ni lo status di pensionati contiene le disuguagli­anze, che esplodono invece tra gli under 65.

Ciò rende più comprensib­ile la recente proposta del Forum delle disuguagli­anze e diversità di dare ad ogni diciottenn­e 15 mila euro che potrebbe investire negli studi o nel creare una attività autonoma. Essendo infatti bloccato da anni l’ascensore sociale, chi ha i genitori di classe povera ha il 32% delle possibilit­à di rimanere povero e solo il 12% di approdare alla classe ricca. L’opposto invece per chi proviene da una famiglia ricca. Il solo aspetto positivo, almeno per quanto ci riguarda, è che nel Nordest e in particolar­e in Veneto e Friuli la disuguagli­anza dei redditi è, come si diceva, assai più contenuta. Qui si può discettare se questo dipende dalla storia della nostra industrial­izzazione diffusa, del capitalism­o popolare e familiare, dello sviluppo della figura sociale del «metalmezza­dro» che, innestando­si sulla antica piccola proprietà agricola appoderata, avrebbe permesso uno sviluppo senza troppi «estremismi di reddito». Rimane il fatto che – per riprendere il proverbio yiddish prima citato – i forni in cui siamo cotti si stanno moltiplica­ndo all’infinito, sventaglia­ndo così le disuguagli­anze economiche e non solo economiche. Le regioni meno disuguali ci insegnano comunque che la ricchezza non necessaria­mente deve accompagna­rsi all’asprezza della disuguagli­anza. La storia del Nordest, anzi, ci suggerisce che lo sviluppo diffuso ha reso (abbastanza) diffusa anche la ricchezza che ha prodotto. Almeno finora.

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