Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’immagine-icona Cinquant’anni fa la foto di Morucchio
Cinquant’anni fa il famoso scatto di Morucchio, scomparso recentemente
Cinquant’anni giusti il 18 febbraio, cinquant’anni e un giorno il 19, quando nel 1970 venne pubblicata sul Gazzettino, a commento di un pezzo sul maltempo. Commento? Quella fotografia dei due carabinieri in piazza San Marco s’è presa da subito tutta la scena, sprizzava suggestione da ogni particolare, fissava un momento e contemporaneamente entrava nella storia. Succede, a qualche magica immagine, e succede anche al suo autore Lorenzo Morucchio, fotografo veneziano che se n’è andato tra i più appena undici giorni fa, una briciola di tempo prima di celebrare l’anniversario di quello scatto. Che resta un’icona, soprattutto per i Carabinieri: nei secoli fedeli, e quindi anche per questi cinquant’anni in cui hanno accarezzato, coccolato e pubblicato questa fotografia centinaia di volte. Se n’erano accorti subito, della bellezza e anche del grande messaggio, e se l’erano fatta dare dal giornale, per pubblicarla l’anno dopo nel calendario dell’arma, e così è finita in tutti gli angoli d’italia. Talmente entusiasti, i Carabinieri, che i due militari immortalati di spalle avevano ricevuto seduta stante un encomio, perché erano fascinosi anche di spalle e perché comunicavano un messaggio rassicurante: noi vigiliamo anche in mezzo alla bufera di neve, sulla città deserta.
Quel momento irripetibile in realtà era stato carpito e capito al volo, subito, da Morucchio, che dopo i primi scatti istintivi ha chiesto ai due carabinieri di rifare qualche passo (si vedono più impronte sulla neve) e loro li hanno fatti, diventando modelli coscienti. Ma il colpo di fortuna è il colpo di vento che alza il mantello, e lo scatto ferma quel soffio di vita, il movimento che anima la Gus, grande uniforme di servizio, che indossavano i due. Non resteranno sconosciuti al mondo, perché dopo mezzo secolo l’arma ha scartabellato tra fogli di servizio ed encomi, li ha identificati e rintracciati: sono ancora vivi, dovevano essere la sorpresa per Morucchio, peccato.
Curioso, per una fotografia che per principio ferma il tempo, essere fuori dal tempo. Questa lo è ed è lì il suo segreto e la sua forza. Dicono i figli di Morucchio, Carlo e Andrea, tutti e due fotografi, il secondo anche artista: «La piazza è come quella dei tempi di Tiepolo e Canaletto, sempre uguale; è vuota, non ci sono persone che diano un riferimento temporale; la foto è in bianco e nero, il colore avrebbe suggerito l’attualità; e c’è la neve, fascino in più». Fuori dal tempo, dunque, che vuol dire valere per il prima e il dopo. Per il prima: un’immagine così avrebbe potuto disegnarla Achille Beltrame per la copertina della Domenica del Corriere; ma anche il dopo, perché anche Giorgio Cavazzano l’ha riprodotta in un suo disegno per una mostra su Pinocchio del 1997. E si porta dietro, adesso che cominciano i suoi secondi 50 anni, il sentiment che lega il Belpaese ai carabinieri, che oggi sono ipertecnologici, ma vuoi mettere con il copricapo a mezzaluna?
Lorenzo Morucchio naturalmente non ha scattato solo questa immagine. Nel suo lungo curriculum come fotoreporter, in Interfoto di Dino Jarach agli esordi, in Cameraphoto, poi alla Agenzia Fotografica Industriale ha documentato il disastro del Vajont, le mostre del Cinema, le Biennali, il jet set che movimentava Venezia. E il mondo delle remiere (Morucchio era figlio di un campione), l’altro aspetto della sua profondissima venezianità. Un patrimonio di immagini con pochi superstiti: l’archivio del giornale veneziano non c’è più, per fortuna a casa conservano un po’ di negativi e diapositive. E spuntano Orson Welles e Maria Callas, Giovanni XXIII e Paolo VI, Ted Kennedy, Winston Churchill in Canal Grande, giovani attrici con il basco dal futuro radioso. E preziose foto aeree di Venezia anni ‘60, tutte 6x6. A casa Morucchio custodiscono gelosamente tutta la sequenza dei due Carabinieri in piazza San Marco. Ma se andate in giro per Venezia, trovate quella foto magica in cartoline e poster. È così che ha fatto il giro del mondo, raccontando un’italia che non c’è più.