Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Mafia, salgono a cento gli imputati
Dopo Eraclea, altri 48 a processo per il filone padovano: taglieggiavano imprenditori in crisi
Il «metodo Bolognino» finisce alla sbarra. Accu- sati a vario titolo finiscono alla sbarra per ‘ndrangheta in quarantotto. È stata battezzata «Camaleonte» l’operazione della Dda di Venezia che ha scoperchiato il sistema di intimidazioni a imprenditori in difficoltà legato alla ‘ndrina Grande Aracri. Fa il paio con l’altro processo monstre, quello ai Casalesi di Eraclea . Salgono così a 100 le persone a processo per reati legati alle mafie in Veneto.
«Ero con le persone sbagliate, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato». Emanuel Levorato di Vigonza, è un omone di 37 anni, ha la stazza di un buttafuori, uno che sembra non aver paura di niente, e invece ora sta al fianco della sua fidanzata, fuma sigarette davanti all’entrata dell’aula bunker mentre il gup in camera di consiglio sta decidendo il suo futuro.
L’accusa è pesante: estorsione aggravata dal metodo mafioso. Emanuel Levorato, è stato rinviato a giudizio. Il suo avvocato non si era fatto grandi illusioni: solo a dibattimento sarà possibile dimostrare che quando Levorato minacciava di morte il manager della Saed Group non sapeva che a chiederglielo erano i capi della Grande Aracri. Ieri il gup Francesca Zancan ha rinviato a giudizio in tutto quattordici persone finite nella rete «Camaleonte», l’operazione della Dda di Venezia che ha svelato le ramificazioni della ‘ndrangheta nel tessuto economico del Veneto.il dibattimento inizierà il 23 marzo in tribunale a Venezia. Altri 34 imputati hanno invece scelto il rito abbreviato: sono accusati a vario titolo di estorsione, minacce, riciclaggio, false fatturazioni tutto aggravato dall’aver agito favorendo la ‘ndrangheta. L’udienza preliminare è fissata il 18 maggio.
Un percorso giudiziario, quello per il processo per ‘ndrangheta, diverso rispetto a quello sui Casalesi di Eraclea, dove gli imputati sono tutti a dibattimento.
Un dato è certo: questo è il primo momento storico in cui la giustizia in Veneto porta alla sbarra almeno cento accusati di mafia. Un esercito. E non è finita qui perché le indagini, in entrambi i fronti, continuano. La mafia calabrese in Veneto non ha fatto patti con la politica ma la lettura dell’ordinanza spiega bene il funzionamento del modello ‘ndranghetista: individuare un impresario ben inserito, chiedergli soldi e fatture false e costringerlo a fare lo stesso con tutti i suoi amici. Vittime che si trasformano in carnefici, tutto nel più religioso silenzio. È andata «male» perché i Bolognino hanno fatto rumore.
Quando nell’aprile del 2013 picchiano il trevigiano Stefano Venturin che non vuole ceder loro le quote della sua azienda a Galliera Veneta, accendono un faro in un angolo che doveva restare buio. Arrivano i carabinieri, scattano le intercettazioni telefoniche, la Finanza controlla le fatture e il castello cade. Sei anni dopo in 54 finiscono agli arresti, e ora un’indagine bis sta andando avanti.
Nel frattempo i Bolognino (sono tre fratelli, Michele, Francesco e Sergio), sono stati condannati al processo Aemilia, e ora si trovano nelle carceri di massima sicurezza. Solo Sergio andrà a processo «non ha potuto vedere le accuse perché a Nuoro dov’è detenuto non glielo permettono, è costretto a difendersi in aula» dice il suo avvocato. In aula si difenderà anche Antonio Genesio Mangone, il calabrese che, stando all’indagine, insieme al padovano Adriano Biasion andava per cantieri a minacciare e estorcere denaro a impresari in crisi.
Biasion, che ha collaborato, ha scelto l’abbreviato. A processo difenderà anche Luca De Zanetti, che ha due nemici: Sergio Bolognino e Stefano Venturin, la vittima che ha fatto scattare l’inchiesta e che secondo De Zanetti tanto vittima non è. Quattro persone hanno scelto di patteggiare, a tre di loro non era contestata l’aggravante mafiosa ma solo le false fatture, sono Eros Carraro (Ve), Massimo Nalesso (Ve), e Roberto Rizzo (Pd), che hanno concordato con il pm una pena sotto i due anni, prima però dovranno risarcire il debito con il Fisco, che nel loro caso va dai 20 a 90 mila euro.
Patteggia anche il pentito Giuseppe Giglio, che sta concordando una pena sui 4 anni. Su questi quattro casi si decide il 18 maggio. Fra decine di vittime sono solo quattro gli imprenditori costituitisi parte civile: l’albanese Adrian Arcana (avvocato Jacopo Al Jundi), l’impresario Nicola Pittarello (avvocato Stefano Marrone), e i coniugi Stefano Venturin e Mariagiovanna Santolini (avvocato Cristiano Biadene). Questi ultimi ai loro aguzzini hanno chiesto 400mila euro di risarcimento. Costituite anche la Regione Veneto, la Presidenza del consiglio dei ministri, l’agenzia delle entrate e il ministero dell’interno.