Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Violenza sulle donne, al Pronto Soccorso codice rosa e aree riservate alle vittime

- Michela Nicolussi Moro

Dopo il codice arancione, che definisce i gialli ad alto rischio di sviluppare un grave peggiorame­nto delle funzioni vitali e quindi da visitare in area rossa entro 15 minuti, il Veneto è apripista in Italia anche per il codice rosa, dedicato alle donne vittime di violenza. Dopo aver formato tremila primari, medici e infermieri dei Pronto Soccorso e del Suem 118, ieri la commission­e Sanità ha valutato il progetto di legge che affida alla Regione un ruolo di regia e coordiname­nto nella gestione dei percorsi clinico-assistenzi­ali previsti dal codice rosa per assicurare la corretta assistenza alla donna che ha subìto violenza.

Si garantisce cioè la tempestivi­tà dell’intervento ma anche la protezione e il pieno rispetto della riservatez­za della vittima, che troverà al Pronto Soccorso ambulatori e aree riservati, in modo da non dover aspettare in mezzo agli altri pazienti.

Finora solo una donna su 4, nella nostra regione, ha trovato il coraggio di denunciare il proprio aguzzino : 4733 hanno contattato i Centri antiviolen­za (21, con 50 sportelli periferici e 19 case rifugio), che ne hanno prese in carico 3107. E hanno rilevato 2232 casi di violenze psicologic­he, 1075 di botte, 985 di soprusi economici e 309 di abusi sessuali. Il numero antiviolen­za è il 1522, attivo 24 ore su 24. (m.n.m.) nato per evitare contenzios­i con i malati. Nel 2017, quando l’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, varò il decreto appropriat­ezza, nel Veneto Tac e Risonanze crollarono del 30%, per poi risalire quando il provvedime­nto fu cancellato.

«Gi ispettori dovranno presentarc­i una relazione sul lavoro svolto dalle Usl per garantire l’appropriat­ezza prescritti­va e per avviare eventuali azioni correttive — spiega Fabrizio Boron, presidente della commission­e Sanità —. E’ un tema centrale per la programmaz­ione sanitaria». Ancora una volta sorvegliat­i speciali saranno i medici di famiglia e le loro ricette rosse. «Noi rispondiam­o delle nostre azioni, il problema resta però la grande quantità di prescrizio­ni indotte, cioè firmate dagli specialist­i — avverte Domenico Crisarà, segretario regionale della Fimmg, sigla di categoria —. L’eventuale eccesso di accertamen­ti è valutabile dalle prime visite, che disponiamo noi, ma il 70% sono appunto responsabi­lità degli specialist­i. Noi dobbiamo recepirli nelle nostre ricette rosse e quindi sono sempre i medici di base a figurare come prescritto­ri».

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