Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Inquilino massacrato, 30 anni di carcere
L’indiano Budwhar condannato per l’omicidio con sessanta coltellate all’arcella
Sanjay Budhwar, indiano di 37 anni, è stato condannato a trent’anni dal gup Domenica Gambardella. La sentenza è arrivata ieri mattina a seguito del rito abbreviato che ha concesso una riduzione di pena rispetto all’ergastolo chiesto inizialmente dal pubblico ministero Andrea Girlando.
Budhwar era accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, incendio doloso e tentato omicidio. Nel febbraio dello scorso anno l’uomo ha massacrato un connazionale, Hoshiar Singh, 45 anni, con sessanta coltellate. I due vivevano insieme in un appartamento del residence Ibisco di via Altichieri da Zevio, all’arcella. Una notte, Budhwar è entrato nella camera di Singh mentre quest’ultimo dormiva e lo ha aggredito, colpendolo più e più volte al collo, tagliando la carotide in più punti, e sul torace. La vittima si è svegliata ma non ha avuto il tempo di reagire, è riuscita solamente ad alzare le braccia, un gesto istintivo di protezione che a nulla è servito. L’omicida ha cercato poi di far sparire ogni traccia, con scarso successo, e ha dato fuoco al corpo ormai privo di vita del coinquilino dopo averlo ricoperto con i suoi vestiti. Ma tutto questo non bastava, aveva bisogno di un capro espiatorio. Budhwar ha cercato di incolpare il vicino di casa, Habib Ur Rehman Muhammad, pachistano: lo ha chiamato in soccorso, poi aggredito con lo stesso coltello con cui aveva ucciso il 45enne e in seguito lo ha spinto dentro l’appartamento in modo da spargere il suo sangue sul pavimento e far credere che fosse lui il colpevole. L’assassino subito dopo ha telefonato alla polizia denunciando il vicino, che barcollava ferito sulla porta. Tuttavia, i maldestri sforzi per depistare le forze dell’ordine si sono rivelati presto del tutto vani. Gli inquirenti, dopo aver analizzato la scena del crimine e sentito il ferito, hanno capito cosa fosse successo.
Budhwar ha reso poi strane dichiarazioni. Si è dubitato della sua salute mentale. Ma la perizia psichiatrica effettuata in estate ha decretato che è in grado di intendere e di volere. Il movente è riconducibile ad alcuni screzi derivati dalla convivenza (la vittima era in affitto dal suo assassino) o a presunte questioni politiche che riguardavano il Paese d’origine (Budhwar ha definito Singh uno «spione»). Una personalità controversa, difficile da inquadrare: l’omicida conduceva una vita normale, si potrebbe dire anonima. Ma segnata da una piccola mania: quella dei selfie con personaggi noti (come miss Italia) o uomini delle forze dell’ordine. Appena poteva, si intrufolava in qualche evento e si faceva ritrarre in posa, postando generosamente le immagini su Facebook.