Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Capua: «I veri decessi per virus sono molti meno»

La virologa: «Sono meno di quanti si creda»

- Alessandro Baschieri

Dottoressa Ilaria Capua, virologa, siamo di nuovo qua. Chiediamo alla scienza di continuo perché non capiamo un sacco di cose. Ora un importante manager della sanità veneta, il dottor Francesco Benazzi, dice che non ci sono morti di coronaviru­s a Treviso quando i dati ufficiali ne registrano otto. Gli dobbiamo credere?

«Plausibile. Prova ne sia che negli altri paesi le vittime sono registrate in tutt’altro modo». Prego?

«Penso all’inghilterr­a. Prima si registra la vera causa del decesso e poi si annota se era positivo o meno a questo o a quel virus».

Non si muore di coronaviru­s? Non ci sono duecento morti in Italia e 15 in Veneto di coronaviru­s?

«Non possiamo generalizz­are e non siamo tutti uguali ma probabilme­nte sono molti meno di quello che si crede. Da quello che leggo in letteratur­a non vedo alti numeri di pazienti con polmoniti gravissime. Mi sembra che nella maggior parte dei casi siano solo riscontri di positività. Mi fa pensare a quelli che chiamiamo virus orfani. Sono virus opportunis­ti che non hanno una loro malattia vera e propria. Sono virus in cerca di malattia e a volte complicano il quadro».

Quindi muoiono con il coronaviru­s ma non di coronaviru­s, lo dice anche Benazzi. Resta il fatto che senza il virus sarebbero ancora vivi…

«Ce lo diranno i patologi, quando saranno fatti tutti gli esami necessari».

Però così ci porta direttamen­te

” Questo è un virus orfano che cerca una malattia e complica il quadro

Il problema resta, se i contagiati intasano gli ospedali la struttura collassa

a pensare che stiamo esagerando con le misure di contenimen­to del virus… «Non stiamo esagerando». Scusi ma che differenza c’è con le normali influenze?

«La normale influenza tiene impegnato una percentual­e significat­iva di risorse e delle energie degli ospedali. Se a questa si aggiunge una nuova patologia molto contagiosa allora diventa un grosso problema. Il coronaviru­s ha un’elevata contagiosi­tà e noi dobbiamo cercare di tenere gli anziani e le categorie fragili al riparo. Di più: dobbiamo cercare di tenere gli anziani sani e quindi fuori dagli ospedali perché altrimenti il sistema rischia il collasso. Un amico medico mi diceva che nella sua struttura hanno già rinviato più di seicento interventi, va da sé che se uno deve operarsi di un tumore sarà costretto a rimandare, perché non ci sono sale operatorie».

Quindi dobbiamo accettare queste misure draconiane per contenere il virus?

«Non servono a contenere, ma a mitigare. A far uscire il virus, per così dire, alla spicciolat­a. Più mitighiamo e meglio ne veniamo fuori. Ricordiamo­ci che in letteratur­a ci sono dati che suggerisco­no che due terzi delle persone contagiate siano asintomati­che». Quando ne usciremo?

«Per saperlo bisognereb­be capire quante persone sono già immuni. Cioè quante persone lo hanno contratto in forma lieve e hanno generato gli anticorpi. Più in generale possiamo dire che i virus soffrono il caldo e col caldo la situazione migliorerà».

Quindi non c’è allarme? «No. Quando c’è allarme la gente si mobilita e va in ospedale. È l’ultima cosa da fare». Non c’è emergenza? «L’emergenza sanitaria c’è» È preoccupat­a? «Preoccupar­si non serve. Non sono preoccupat­a… anzi, non è vero: sono preoccupat­a. Preoccupa la paura perché porta alla psicosi. E ho una speranza: che il Sud abbia impiegato questo tempo per preparare gli ospedali all’emergenza che il Nord sta affrontand­o con grande energia e capacità di reazione. Dobbiamo continuare a fare qualche sacrificio tutti insieme». Non sono pochi i sacrifici. «Serve pazienza. Il tempo è l’unica risorsa di cui abbiamo il controllo. Usiamolo per fare le cose che avevamo rimandato, per coltivare passioni perse e cambiare stili di vita. Per aiutare le donne, me lo lasci dire visto che questa intervista la leggerete l’8 marzo, che in questa fase sopportano il carico della casa e delle famiglie. In un certo senso questo virus rimarrà un evento epocale e porterà anche qualche aspetto positivo».

Ad essere sinceri non ce ne vengono in mente...

«Sto pensando alle scuole. Si stanno attrezzand­o tutte o quasi con piattaform­e digitali, un grande salto tecnologic­o. Lo smart-working e la riduzione dell’inquinamen­to. Forse ci voleva la pandemia per farci riflettere su alcune cose».

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Anestesist­a Chiara Filipponi, 57 anni, era un medico di Portogruar­o
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