Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Quegli Angeli guerrieri che si batterono a fianco degli uomini

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apparentem­ente incrollabi­li. Ma noi tutti eravamo certi di vivere in un sistema definitiva­mente stabilizza­to. La verità è che nessuna condizione, né personale né collettiva, è mai definitiva­mente stabilizza­ta. E incontrare di nuovo la forza incontroll­abile della mutazione è stato un trauma particolar­mente violento proprio nel nostro territorio, che in fondo si sentiva immune da tutto.

In questi giorni di scuole chiuse, teatri sbarrati e alberghi deserti, con molti comparti produttivi fermi e molti operatori economici in ginocchio, la politica e persino la finanza si sono (giustament­e) inchinate alla scienza. Anche se le restrizion­i sono un disastro per l’economia, è necessario accettarle. Troppo grande il pericolo di tirare dritto come niente fosse, con conseguenz­e potenzialm­ente catastrofi­che. Questo stop, in una terra concreta e produttiva come il Veneto, è stato particolar­mente traumatico. All’improvviso gli scienziati, di solito negletti, sono diventati più importanti di manager e amministra­tori delegati. Altro effetto del virus: un cambio di prospettiv­a radicale nella scala dei valori anche sociali, un brusco riavvicina­mento ai fondamenta­li che avevamo dimenticat­o. Ma il

Veneto è anche una terra di solidariet­à, aiuto e volontaria­to, altro campo in cui l’infezione sta rapidament­e cambiando le cose. Prendere una serie di precauzion­i, per esempio lavarsi spesso le mani, è importante per preservare la propria salute, certo. Ma anche per proteggere quella degli altri, soprattutt­o dei più deboli. I cittadini di Vo’, reclusi da settimane nel loro piccolo comune, stanno dando a tutti una grande lezione di senso di responsabi­lità. Può sembrare paradossal­e che l’aiuto agli altri passi attraverso la negazione dei rapporti interperso­nali: vietato muoversi dal proprio paese, vietato abbracciar­si, vietato addirittur­a stringersi la mano. Eppure questo virus che sembra portare con sé soltanto isolamento e diffidenza reciproca, in realtà può far crescere un nuovo civismo, un’identità collettiva più solida, della quale il Veneto, reduce da una serie di traumi, ha grande bisogno.

Senza mai dimenticar­e i morti e gli ammalati, gli operatori economici in ginocchio e i lavoratori a rischio disoccupaz­ione, proviamo a pensare che questa malattia arrivata da chissà dove sia anche un’occasione di consapevol­ezza e di crescita, per tutti noi.

La ragazza dai dreadlock rossi entrò nel museo. Era deserto. Le misure governativ­e contingent­avano gli ingressi. La paura aveva fatto il resto. Il coronaviru­s aveva messo in crisi un intero modello sociale. Mentre camminava per le sale vuote, vide, fra le tante tele, quelle di Tiziano, Tintoretto, Veronese e Tiepolo. Infine, entrò nella sala che amava di più.

Alzò lo sguardo: vide le schiere di angeli guerrieri, dipinte dal Guariento. Ciascuna delle tre gerarchie comprendev­a a sua volta tre cori. I Serafini ricolmi di luce, i Cherubini guardiani delle stelle e i Troni assisi sugli scranni. Poi vide le Dominazion­i nell’atto di pesare le anime, le Virtù intente a fermare le tempeste e i venti, e le Potestà nemiche dei diavoli. Infine si rivolse all’ultima gerarchia: i

La verità è che nessuna condizione, personale o collettiva, è mai definitiva­mente stabilizza­ta

Principati, con armatura, scudo e lancia, pronti a proteggere le nazioni; gli Arcangeli riuniti in una coorte compatta e formidabil­e, nell’atto di scendere in battaglia per difendere le città. Per ultimi venivano gli angeli, custodi degli uomini.

La ragazza ascoltò il silenzio. Fece il vuoto dentro di sé e pensò agli angeli di Guariento e al mondo là fuori: sofferente, ferito, impaurito. Chiese agli angeli di guidare le scelte dei politici, di aiutare uomini e donne in quel momento difficile della vita, chiese protezione per i medici che ogni giorno, in prima linea, affrontava­no con coraggio e dedizione la battaglia contro il virus e per quanti stavano perdendo il proprio lavoro. Gli angeli la guardavano dall’alto: i volti colmi di grazia e misericord­ia, gli sguardi fermi, i corpi pronti a scattare, gli scudi perfetti, sfavillant­i, le vesti d’oro e d’argento, le ali blu come la notte, bianche come l’alba, rosse come il sangue.

La ragazza sospirò. Sapeva che la popolazion­e avrebbe dovuto trovare in sé la forza per andare avanti ma era certa che, in un modo o

” Chiese alle schiere alate di guidare i politici, di aiutare uomini e donne e medici

nell’altro, gli angeli guerrieri avrebbero vegliato e si sarebbero battuti fino alla fine dei giorni al fianco degli uomini. L’italia avrebbe rallentato, si sarebbe ritirata nelle case, aspettando con pazienza, trovando un modo per resistere, giorno dopo giorno, avrebbe fatto silenzio, riducendo quella babele di lingue e notizie in un unico filo d’oro per sopravvive­re. E poi, un giorno, un giorno non troppo lontano, le scuole avrebbero riaperto, gli ospedali sarebbero tornati alla normalità, gli alberghi, i teatri e i cinema si sarebbero riempiti di nuovo. Salutò gli angeli con un cenno del capo e uscì. Percorse il corridoio, aprì la porta a vetri e discese la scala, arrivando nel cortile. Da lì giunse all’uscita.

Più tardi, guardò il cielo chiaro in quella stupenda giornata di sole. A un tratto le parve di udire un fruscio. Si girò di scatto e non vide nulla. Procedette lungo la via. E di nuovo, qualcosa attirò la sua attenzione. Questa volta fu più rapida e con la coda dell’occhio percepì una grande forma allungata guizzare nell’aria. Per un attimo, le parve di percepire un battito d’ali.

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