Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
IL POTERE TRA DUE ESTREMI
Circola l’ipotesi di rientrare dall’isolamento per Coronavirus a scaglioni segmentati per fasce di età: i più giovani ritornano nel ciclo produttivo e i più anziani restano in quarantena. Di tanto in tanto riemergono le teorie secondo cui le guerre erano un espediente dei vecchi per liberarsi della concorrenza dei giovani. In questa ipotesi di uscita da una pandemia che ci fa sentire appunto in guerra.
Triste, sterile, una società priva di baci, di abbracci. Ai tempi del virus ci resta almeno la gioia della contemplazione. Un affresco di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, a Padova, ci consolida nell’idea che il segreto della forza di una società, risiede nella ricerca di una stabilità affettiva. Affascinante è l’affresco che ritrae il vigore dell’incontro tra Gioacchino e Anna, i genitori di Maria, madre di Gesù, presso la Porta Aurea di Gerusalemme: l’abbraccio di un uomo con la sua donna, l’intensità degli sguardi, la delicatezza delle labbra che si cercano, degli occhi penetranti, dei volti distesi, nuova promessa d’amore. Emozioni, sentimenti che aiutano, per dirla con David Maria Turoldo, e invitano a cantare il sogno del mondo: «Ama /saluta la gente /dona / perdona /ama ancora e saluta».
Certo, in questi giorni è difficile. Una «ordinanza» ci vieta, meglio suggerisce prudenza e distacchi, l’utilizzo di quella «capacità negativa», suggerita da John Keats, poeta del Romanticismo inglese, morto a Roma nel 1821, che indica nell’ascolto la prima azione positiva, per capire prima di agire.
Già Dante, nella sua Divina Commedia, reminiscenze scolastiche, ci aveva accompagnato nella ricerca degli «abbracci perduti», sollecitando a non disperare, quando, condotto da Virgilio sulla spiaggia del Monte Purgatorio, intravvedeva l’approdo di una nave e tra la folla di salvati che stavano scendendo per la purificazione, era riuscito ad avvicinarsi a loro, per abbracciare un vecchio amico, il compositore e musicista fiorentino, il «finissimo cantore» Casella. Ma fu un abbraccio virtuale, istintivo: riuscì a stringere a sé solamente l’aria.
Non ci resta che il canto e il sorriso. «Godi del nulla che hai», è ancora l’invito di Turoldo.
«No, non chiudermi ancora nel tuo abbraccio, /atterreresti in me questa alta vena /che mi inebria dall’oggi e mi matura», scriveva nei suoi versi Alda Merini.
Resta l’attesa, nella consapevolezza che l’abbraccio conforta, aumenta la sicurezza, la fiducia in sé stessi, riduce rabbia e apatia, migliora lo stato d’animo, favorisce istanti di felicità e magari rafforza pure il sistema immunitario. Gli abbracci producono serenità (non dimentichiamone il ricordo, anche quando si allentano). Sembra che aiutino a prevenire, perfino, la demenza senile. Certamente ringiovaniscono, favoriscono addirittura un controllo della pressione arteriosa.
Con tutto il rispetto dovuto alle preoccupazioni della scienza (e coscienza) medica, proviamo simpaticamente a chiedere che, quanto prima, si allentino i vincoli che li hanno sospesi.
Per vivere ancora non possiamo privarci di un abbraccio. E’ un soffio di vita. La società attuale è pervasa di solitudine. Cesare Pavese la definiva «una cella intollerabile».