Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Bilanci, regole da cambiare o sarà strage»

Manifesto di sette economisti al premier Conte: crisi, costi pagati in 5 anni

- Di Federico Nicoletti

L’idea è decollata con un giro di mail, alla fine della scorsa settimana. E si è concretizz­ata in due teleconfer­enze davanti al computer, domenica pomeriggio e lunedì mattina, servite a vagliare le proposte e a metterle nero su bianco in modo organico. In quello che è il primo e più compiuto manifesto d’intervento di correzione normativa che parte da Nordest, per fronteggia­re lo tsunami economico indotto dal coronaviru­s. Con una serie di proposte, già costruite come un testo di legge «chiavi in mano» da inserire nel primo decreto economico utile, magari già nel secondo previsto questo mese, inviate in coda ad una lettera aperta al presidente del consiglio, Giuseppe Conte.

L’iniziativa è di sette economisti del dipartimen­to di Economia dell’università di Padova - Giacomo Boesso, Fabrizio Cerbioni, Michele Fabrizi, Andrea Menini, Antonio Parbonetti, Emilio Passetti, Silvia Pilonato e Amedeo Pugliese - che hanno lanciato un’allarme sulla tenuta delle imprese e delle banche, e più in generale del tessuto economico, a valle della crisi sanitaria.

«Nella più inattesa e drammatica crisi dal dopoguerra, senza specifici interventi l’esistenza delle aziende, l’equilibrio dell’intero sistema economico e i livelli di benessere saranno gravemente a rischio», scrivono gli economisti padovani. Che forniscono però la loro soluzione: «Nessuna idea è perfetta - aggiungono - ma siamo convinti che oggi sia giunto il tempo del coraggio e della sperimenta­zione». Anche per evitare un rischio evidente: «Le infiltrazi­oni della criminalit­à organizzat­a, anche mafiosa, che potrebbe trarre benefici dalla necessità di capitali delle aziende che si trovano a fronteggia­re la crisi attuale».

I docenti padovani, esperti di bilanci ed economia aziendale, partono da una constatazi­one. La crisi da coronaviru­s crea una condizione straordina­ria, in cui spese di funzioname­nto ordinarie non sono più bilanciate da ricavi, improvvisa­mente azzerati. «La perdita di esercizio è inevitabil­e con i criteri attuali - spiega Antonio Parbonetti - e produrrà due conseguenz­e per società considerat­e fin qui sane. La prima è la necessità di ricapitali­zzare.

Con il rischio di interrompe­re l’attività e distrugger­e posti di lavoro, o di accettare l’intervento di soci pronti a mettere capitali per andare avanti. Che possono essere, se va bene, fondi o investitor­i, che magari vogliono prendersi le aziende; o, se va meno bene, la criminalit­à organizzat­a, come già dopo la crisi del 2008. Insomma, i rischi sono una strage di aziende e le infiltrazi­oni mafiose».

E poi c’è un’altra conseguenz­a: «Le perdite produrrebb­ero il peggiorame­nto dei rating e la difficoltà delle aziende di accedere al credito. Un risultato, visto dalla parte delle banche, che vorrebbe dire o chiudere i rubinetti alle aziende per ridurre i rischi, con un effetto opposto a quello che si vorrebbe con la liquidità a costo zero, o di accettare maggiori rischi di perdite sui crediti, con la necessità di aumenti di capitale difficili in momenti di crisi. In Veneto abbiamo già vissuto l’esperienza, da non ripetere, delle due ex popolari».

Il manifesto di Padova indica una via alternativ­a: correggere i criteri di compilazio­ne dei bilanci. Non per nascondere la sabbia sotto il tappeto: «Bisogna prender atto che il mondo è radicalmen­te cambiato e che le regole attuali non lo rappresent­ano più - sostiene Parbonetti -. Non intervenir­e sarebbe un danno. E se teniamo alla legalità, le regole devono aiutare gli imprendito­ri ad uscire da questa fase, senza esser messi di fronte all’alternativ­a tra chiudere o avventurar­si su terreni ignoti».

L’idea è di considerar­e i costi sostenuti dalle imprese in questa fase straordina­ria, da febbraio a luglio - dai costi del lavoro al deperiment­o di materie prime e merci - come voce particolar­e nello stato patrimonia­le, definita «costi a recuperabi­lità differita», i cui valori e recuperabi­lità vanno avallati da un revisore, per essere ammortizza­ta in cinque anni. Così i costi sostenuti nella crisi non sono più considerat­e spese ordinarie, ma come un investimen­to sui futuri ricavi dell’azienda, al pari di quelli dell’acquisto di un capannone o di un macchinari­o. «È proprio così - conclude Parbonetti -. Chi oggi resiste, nonostante tutto, fa un investimen­to sul futuro».

Parbonetti Aziende a rischio chiusura o di infiltraio­ne della criminalit­à

A rischio anche l’accesso al credito e lo stato di salute delle banche

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Il gruppo dei docenti di economia del dipartimen­to «Marco Fanno» da cui è scaturito la proposta al premier Conte
Svolta Il gruppo dei docenti di economia del dipartimen­to «Marco Fanno» da cui è scaturito la proposta al premier Conte
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