Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Bilanci, regole da cambiare o sarà strage»
Manifesto di sette economisti al premier Conte: crisi, costi pagati in 5 anni
L’idea è decollata con un giro di mail, alla fine della scorsa settimana. E si è concretizzata in due teleconferenze davanti al computer, domenica pomeriggio e lunedì mattina, servite a vagliare le proposte e a metterle nero su bianco in modo organico. In quello che è il primo e più compiuto manifesto d’intervento di correzione normativa che parte da Nordest, per fronteggiare lo tsunami economico indotto dal coronavirus. Con una serie di proposte, già costruite come un testo di legge «chiavi in mano» da inserire nel primo decreto economico utile, magari già nel secondo previsto questo mese, inviate in coda ad una lettera aperta al presidente del consiglio, Giuseppe Conte.
L’iniziativa è di sette economisti del dipartimento di Economia dell’università di Padova - Giacomo Boesso, Fabrizio Cerbioni, Michele Fabrizi, Andrea Menini, Antonio Parbonetti, Emilio Passetti, Silvia Pilonato e Amedeo Pugliese - che hanno lanciato un’allarme sulla tenuta delle imprese e delle banche, e più in generale del tessuto economico, a valle della crisi sanitaria.
«Nella più inattesa e drammatica crisi dal dopoguerra, senza specifici interventi l’esistenza delle aziende, l’equilibrio dell’intero sistema economico e i livelli di benessere saranno gravemente a rischio», scrivono gli economisti padovani. Che forniscono però la loro soluzione: «Nessuna idea è perfetta - aggiungono - ma siamo convinti che oggi sia giunto il tempo del coraggio e della sperimentazione». Anche per evitare un rischio evidente: «Le infiltrazioni della criminalità organizzata, anche mafiosa, che potrebbe trarre benefici dalla necessità di capitali delle aziende che si trovano a fronteggiare la crisi attuale».
I docenti padovani, esperti di bilanci ed economia aziendale, partono da una constatazione. La crisi da coronavirus crea una condizione straordinaria, in cui spese di funzionamento ordinarie non sono più bilanciate da ricavi, improvvisamente azzerati. «La perdita di esercizio è inevitabile con i criteri attuali - spiega Antonio Parbonetti - e produrrà due conseguenze per società considerate fin qui sane. La prima è la necessità di ricapitalizzare.
Con il rischio di interrompere l’attività e distruggere posti di lavoro, o di accettare l’intervento di soci pronti a mettere capitali per andare avanti. Che possono essere, se va bene, fondi o investitori, che magari vogliono prendersi le aziende; o, se va meno bene, la criminalità organizzata, come già dopo la crisi del 2008. Insomma, i rischi sono una strage di aziende e le infiltrazioni mafiose».
E poi c’è un’altra conseguenza: «Le perdite produrrebbero il peggioramento dei rating e la difficoltà delle aziende di accedere al credito. Un risultato, visto dalla parte delle banche, che vorrebbe dire o chiudere i rubinetti alle aziende per ridurre i rischi, con un effetto opposto a quello che si vorrebbe con la liquidità a costo zero, o di accettare maggiori rischi di perdite sui crediti, con la necessità di aumenti di capitale difficili in momenti di crisi. In Veneto abbiamo già vissuto l’esperienza, da non ripetere, delle due ex popolari».
Il manifesto di Padova indica una via alternativa: correggere i criteri di compilazione dei bilanci. Non per nascondere la sabbia sotto il tappeto: «Bisogna prender atto che il mondo è radicalmente cambiato e che le regole attuali non lo rappresentano più - sostiene Parbonetti -. Non intervenire sarebbe un danno. E se teniamo alla legalità, le regole devono aiutare gli imprenditori ad uscire da questa fase, senza esser messi di fronte all’alternativa tra chiudere o avventurarsi su terreni ignoti».
L’idea è di considerare i costi sostenuti dalle imprese in questa fase straordinaria, da febbraio a luglio - dai costi del lavoro al deperimento di materie prime e merci - come voce particolare nello stato patrimoniale, definita «costi a recuperabilità differita», i cui valori e recuperabilità vanno avallati da un revisore, per essere ammortizzata in cinque anni. Così i costi sostenuti nella crisi non sono più considerate spese ordinarie, ma come un investimento sui futuri ricavi dell’azienda, al pari di quelli dell’acquisto di un capannone o di un macchinario. «È proprio così - conclude Parbonetti -. Chi oggi resiste, nonostante tutto, fa un investimento sul futuro».
Parbonetti Aziende a rischio chiusura o di infiltraione della criminalità
A rischio anche l’accesso al credito e lo stato di salute delle banche