Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Tamponi ma non per tutti polemiche sui social «Mancano i reagenti»

Il Veneto mantiene numeri record ma il piano di screening a tappeto si scontra con nodi organizzat­ivi. Zaia: produrremo i kit in casa

- Andrea Priante

Tamponi per tutti, tamponi fuori dai supermerca­ti, tamponi di massa. Intenzioni di metà marzo. Che, con l’incalzare rapidissim­o delle notizie cui ci ha ormai abituati il coronaviru­s, equivale a un secolo fa. Nel frattempo anche il governator­e Luca Zaia ha precisato che sì, va bene fare i test a tappeto, però è più realistico andare per gradi partendo (giustament­e) dai medici, dai 54 mila lavoratori della sanità e da quelli delle case di riposo. Solo poi «toccherà a tutte le persone che hanno dei sintomi ma che, oggi come oggi, dovrebbero attendere la fine del periodo di osservazio­ne».

Risultato: a ogni conferenza stampa che annuncia un nuovo Piano di screening per i veneti, sui social si moltiplica­no le proteste di chi da giorni chiede inutilment­e di essere sottoposto al controllo perché ha dei sintomi o per via di un familiare malato oppure - ed è un caso piuttosto frequente - è guarito ma non può interrompe­re il totale isolamento fino a quando non verrà eseguito un doppio test (a distanza di duetre giorni) che certifichi la negatività al Covid. Emblematic­a la storia di un dentista di Verona morto a causa del contagio: la figlia e la vedova non possono neppure scambiarsi un abbraccio consolator­io perché, non essendo state sottoposte al tampone per settimane, ciascuna potrebbe infettare l’altra e quindi devono restare barricate nelle rispettive camere da letto. E ora che finalmente gli infermieri hanno raccolto i loro campioni, da tre giorni sono appese a un risultato che non arriva. «È snervante, spero finisca presto questa agonia», racconta la figlia.

Sia chiaro, finora in Veneto

Il medico Dal punto di vista scientific­o non ha molto senso fare i tamponi a tutti

sono stati fatti oltre 112 mila prelievi di saliva, che in proporzion­e superano quelli della Corea del Sud che pure s’era messa a cercare i contagiati con test eseguiti perfino ai semafori. Ma il «tampone per tutti» resta un miraggio. Anche perché - come dimostra la storia del dentista veronese una volta ottenute le tracce di muco e saliva, servono uomini e mezzi per analizzarl­e. E ieri, proprio Zaia ha ammesso: «Abbiamo diecimila tamponi bloccati nei frigo perché mancano ancora i kit reagenti». Per superare anche questo ostacolo, il Veneto comincerà a produrre «in casa» le sostanze necessarie alle analisi. E così, si spera che la «macchina» finalmente possa viaggiare alla massima velocità.

«Le istituzion­i dovrebbero stare più attente agli annunci che fanno perché creano aspettativ­e immediate nella popolazion­e. La verità è che occorre tempo per mettere in atto una reazione efficace nei confronti di una minaccia così nuova e insidiosa»,riflette Giuseppe Cicciù, referente regionale del Tribunale del Malato. C’è poi una difficoltà «struttural­e» con la quale fare i conti: «Per anni sono state ridotte le risorse e chiusi ospedali senza aprire ambulatori o presìdi sul territorio. Ora se ne pagano le conseguenz­e. Quanto l’emergenza sarà finita si dovrà costruire un nuovo patto fiduciario tra cittadini e istituzion­i».

Il segretario veneto della Federazion­e dei medici di famiglia, Domenico Crisarà, è scettico circa l’utilità di un test di massa: «Capisco che, sotto il profilo psicologic­o, il tampone possa dare conforto a chi è entrato in contatto con un malato. Ma ricordiamo­ci che non è una cura. Dal punto di vista scientific­o non ha senso farlo a tutti, visto che le persone già vivono isolate a casa». Anche per il rappresent­ante trevigiano della Federazion­e, Brunello Gorini, non serve testare tutti: «Piuttosto occorre proteggere chi è in prima linea e rischia di ammalarsi o, peggio, di trasformar­si in incolpevol­e untore. Pochi giorni fa mi ha telefonato una giovane collega, era in lacrime: doveva andare a casa di una vittima del Covid per constatarn­e il decesso e non aveva neppure una mascherina da indossare...». Ad avere paura non sono solo dottori e infermieri. Ieri la Cisl ha puntato il dito sulla gestione dell’emergenza da parte della Rekeep, l’azienda impegnata nell’appalto del servizio di pulizie all’ospedale di Treviso: 170 dipendenti, per la maggior parte donne, e quasi un quinto di loro è in malattia, venti in quarantena e sei positive. E anche per loro il problema sembra essere sempre lo stesso: «Ci risulta - denuncia Patrizia Manca, segretaria della Fisascat Cisl - che siano rientrate dalla quarantena lavoratric­i e lavoratori senza aver effettuato il tampone. Abbiamo lavoratric­i che vanno a lavorare con la febbre pur di garantire il servizio...».

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Il prelievo Il test del Covid viene fatto analizzand­o i campioni di muco e saliva

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