Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Tamponi ma non per tutti polemiche sui social «Mancano i reagenti»
Il Veneto mantiene numeri record ma il piano di screening a tappeto si scontra con nodi organizzativi. Zaia: produrremo i kit in casa
Tamponi per tutti, tamponi fuori dai supermercati, tamponi di massa. Intenzioni di metà marzo. Che, con l’incalzare rapidissimo delle notizie cui ci ha ormai abituati il coronavirus, equivale a un secolo fa. Nel frattempo anche il governatore Luca Zaia ha precisato che sì, va bene fare i test a tappeto, però è più realistico andare per gradi partendo (giustamente) dai medici, dai 54 mila lavoratori della sanità e da quelli delle case di riposo. Solo poi «toccherà a tutte le persone che hanno dei sintomi ma che, oggi come oggi, dovrebbero attendere la fine del periodo di osservazione».
Risultato: a ogni conferenza stampa che annuncia un nuovo Piano di screening per i veneti, sui social si moltiplicano le proteste di chi da giorni chiede inutilmente di essere sottoposto al controllo perché ha dei sintomi o per via di un familiare malato oppure - ed è un caso piuttosto frequente - è guarito ma non può interrompere il totale isolamento fino a quando non verrà eseguito un doppio test (a distanza di duetre giorni) che certifichi la negatività al Covid. Emblematica la storia di un dentista di Verona morto a causa del contagio: la figlia e la vedova non possono neppure scambiarsi un abbraccio consolatorio perché, non essendo state sottoposte al tampone per settimane, ciascuna potrebbe infettare l’altra e quindi devono restare barricate nelle rispettive camere da letto. E ora che finalmente gli infermieri hanno raccolto i loro campioni, da tre giorni sono appese a un risultato che non arriva. «È snervante, spero finisca presto questa agonia», racconta la figlia.
Sia chiaro, finora in Veneto
”
Il medico Dal punto di vista scientifico non ha molto senso fare i tamponi a tutti
sono stati fatti oltre 112 mila prelievi di saliva, che in proporzione superano quelli della Corea del Sud che pure s’era messa a cercare i contagiati con test eseguiti perfino ai semafori. Ma il «tampone per tutti» resta un miraggio. Anche perché - come dimostra la storia del dentista veronese una volta ottenute le tracce di muco e saliva, servono uomini e mezzi per analizzarle. E ieri, proprio Zaia ha ammesso: «Abbiamo diecimila tamponi bloccati nei frigo perché mancano ancora i kit reagenti». Per superare anche questo ostacolo, il Veneto comincerà a produrre «in casa» le sostanze necessarie alle analisi. E così, si spera che la «macchina» finalmente possa viaggiare alla massima velocità.
«Le istituzioni dovrebbero stare più attente agli annunci che fanno perché creano aspettative immediate nella popolazione. La verità è che occorre tempo per mettere in atto una reazione efficace nei confronti di una minaccia così nuova e insidiosa»,riflette Giuseppe Cicciù, referente regionale del Tribunale del Malato. C’è poi una difficoltà «strutturale» con la quale fare i conti: «Per anni sono state ridotte le risorse e chiusi ospedali senza aprire ambulatori o presìdi sul territorio. Ora se ne pagano le conseguenze. Quanto l’emergenza sarà finita si dovrà costruire un nuovo patto fiduciario tra cittadini e istituzioni».
Il segretario veneto della Federazione dei medici di famiglia, Domenico Crisarà, è scettico circa l’utilità di un test di massa: «Capisco che, sotto il profilo psicologico, il tampone possa dare conforto a chi è entrato in contatto con un malato. Ma ricordiamoci che non è una cura. Dal punto di vista scientifico non ha senso farlo a tutti, visto che le persone già vivono isolate a casa». Anche per il rappresentante trevigiano della Federazione, Brunello Gorini, non serve testare tutti: «Piuttosto occorre proteggere chi è in prima linea e rischia di ammalarsi o, peggio, di trasformarsi in incolpevole untore. Pochi giorni fa mi ha telefonato una giovane collega, era in lacrime: doveva andare a casa di una vittima del Covid per constatarne il decesso e non aveva neppure una mascherina da indossare...». Ad avere paura non sono solo dottori e infermieri. Ieri la Cisl ha puntato il dito sulla gestione dell’emergenza da parte della Rekeep, l’azienda impegnata nell’appalto del servizio di pulizie all’ospedale di Treviso: 170 dipendenti, per la maggior parte donne, e quasi un quinto di loro è in malattia, venti in quarantena e sei positive. E anche per loro il problema sembra essere sempre lo stesso: «Ci risulta - denuncia Patrizia Manca, segretaria della Fisascat Cisl - che siano rientrate dalla quarantena lavoratrici e lavoratori senza aver effettuato il tampone. Abbiamo lavoratrici che vanno a lavorare con la febbre pur di garantire il servizio...».