Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il prefetto «chiude» 33 imprese
Oltre 3.200 richieste di deroga: le prime bocciature. «Bilancio provvisorio, gran mole da smaltire»
Volevano restare aperte nonostante la sospensione di tutte le attività non essenziali imposta dal decreto «Chiudi Italia», ma dovranno rassegnarsi a fermare la produzione. Sono 33 le aziende padovane che hanno chiesto alla prefettura di continuare a lavorare e si sono viste respingere la domanda: il gruppo di lavoro coordinato dal prefetto Renato Franceschelli, che comprende anche guardia di finanza, Camera di commercio e vigili del fuoco, ha già visionato circa mille delle 3.240 domande ricevute, e appunto in 33 casi ha ritenuto che le aziende non avessero i requisiti per ottenere la deroga. Il decreto del 22 marzo individuava le attività essenziali sulla base del codice Ateco: le aziende che rientravano nelle classificazioni dell’istat autorizzate dal governo possono restare aperte senza dover comunicare nulla, le altre invece devono dimostrare di essere «funzionali» alla continuità delle attività essenziali. La prefettura aveva annunciato che valeva la regola del silenzio-assenso, e finora ha risposto in 33 casi per comunicare altrettanti dinieghi; nei prossimi giorni l’elenco delle aziende bocciate verrà trasmesso al Comune, alle forze dell’ordine e ai sindacati. «La gran parte delle domande che abbiamo già visionato è stata accolta - spiega Franceschelli -. Per il resto abbiamo chiesto alcune integrazioni, soprattutto per quanto riguarda le comunicazioni incomplete o scritte in maniera poco chiara. Abbiamo notato un po’ di confusione, forse legata all’enfasi e alla paura del periodo: alcune aziende hanno mandato la comunicazione anche se avevano il codice Ateco giusto, altre hanno ripetuto l’invio più volte. Siamo in pochi, lo smart working vale anche per noi e tutto il personale sta lavorando alla gestione di queste pratiche. Per mettere le aziende in ordine alfabetico ci sono voluti due giorni, e non so dire quanto tempo servirà per completare l’iter: dipende dalle comunicazioni che troveremo e dal tipo di approfondimento che richiederanno».
Nei prossimi giorni dunque la prefettura dovrà passare al vaglio più di duemila richieste: «Sono tantissime, e denotano un atteggiamento che non possiamo condividere - commenta Aldo Marturano, segretario provinciale della Cgil -. A giudicare da questa mole di domande, sembra che qualcuno non abbia ancora capito la gravità della situazione. Il governo ha spiegato in tutti i modi che bisogna ridurre la circolazione e le relazioni tra le persone, eppure c’è chi si ostina a dire che sono i sindacati a voler fermare tutto: è una dichiarazione inaccettabile, forse non è chiaro che siamo ancora lontani dalla fine del tunnel. La salute viene al primo posto, e fermare una parte delle attività produttive serve anche a non mettere sotto pressione gli ospedali». Insomma, per Marturano chiudere è necessario. Ed è per questo che la
Cgil ha segnalato alla prefettura una cinquantina di casi sospetti: «Si tratta di aziende che non hanno nulla a che fare con le filiere essenziali, e che nonostante questo sono ancora operative - spiega Marturano -. Alcune di loro hanno convertito la produzione in funzione dell’emergenza, ma bisogna capire se questo può portarle a tenere aperto tutto o solo alcuni reparti».
Marturano (Cgil)
Troppe aziende non hanno capito la gravità del momento. Segnalati 50 casi sospetti