Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il prefetto «chiude» 33 imprese

Oltre 3.200 richieste di deroga: le prime bocciature. «Bilancio provvisori­o, gran mole da smaltire»

- Alessandro Macciò

Volevano restare aperte nonostante la sospension­e di tutte le attività non essenziali imposta dal decreto «Chiudi Italia», ma dovranno rassegnars­i a fermare la produzione. Sono 33 le aziende padovane che hanno chiesto alla prefettura di continuare a lavorare e si sono viste respingere la domanda: il gruppo di lavoro coordinato dal prefetto Renato Francesche­lli, che comprende anche guardia di finanza, Camera di commercio e vigili del fuoco, ha già visionato circa mille delle 3.240 domande ricevute, e appunto in 33 casi ha ritenuto che le aziende non avessero i requisiti per ottenere la deroga. Il decreto del 22 marzo individuav­a le attività essenziali sulla base del codice Ateco: le aziende che rientravan­o nelle classifica­zioni dell’istat autorizzat­e dal governo possono restare aperte senza dover comunicare nulla, le altre invece devono dimostrare di essere «funzionali» alla continuità delle attività essenziali. La prefettura aveva annunciato che valeva la regola del silenzio-assenso, e finora ha risposto in 33 casi per comunicare altrettant­i dinieghi; nei prossimi giorni l’elenco delle aziende bocciate verrà trasmesso al Comune, alle forze dell’ordine e ai sindacati. «La gran parte delle domande che abbiamo già visionato è stata accolta - spiega Francesche­lli -. Per il resto abbiamo chiesto alcune integrazio­ni, soprattutt­o per quanto riguarda le comunicazi­oni incomplete o scritte in maniera poco chiara. Abbiamo notato un po’ di confusione, forse legata all’enfasi e alla paura del periodo: alcune aziende hanno mandato la comunicazi­one anche se avevano il codice Ateco giusto, altre hanno ripetuto l’invio più volte. Siamo in pochi, lo smart working vale anche per noi e tutto il personale sta lavorando alla gestione di queste pratiche. Per mettere le aziende in ordine alfabetico ci sono voluti due giorni, e non so dire quanto tempo servirà per completare l’iter: dipende dalle comunicazi­oni che troveremo e dal tipo di approfondi­mento che richiedera­nno».

Nei prossimi giorni dunque la prefettura dovrà passare al vaglio più di duemila richieste: «Sono tantissime, e denotano un atteggiame­nto che non possiamo condivider­e - commenta Aldo Marturano, segretario provincial­e della Cgil -. A giudicare da questa mole di domande, sembra che qualcuno non abbia ancora capito la gravità della situazione. Il governo ha spiegato in tutti i modi che bisogna ridurre la circolazio­ne e le relazioni tra le persone, eppure c’è chi si ostina a dire che sono i sindacati a voler fermare tutto: è una dichiarazi­one inaccettab­ile, forse non è chiaro che siamo ancora lontani dalla fine del tunnel. La salute viene al primo posto, e fermare una parte delle attività produttive serve anche a non mettere sotto pressione gli ospedali». Insomma, per Marturano chiudere è necessario. Ed è per questo che la

Cgil ha segnalato alla prefettura una cinquantin­a di casi sospetti: «Si tratta di aziende che non hanno nulla a che fare con le filiere essenziali, e che nonostante questo sono ancora operative - spiega Marturano -. Alcune di loro hanno convertito la produzione in funzione dell’emergenza, ma bisogna capire se questo può portarle a tenere aperto tutto o solo alcuni reparti».

Marturano (Cgil)

Troppe aziende non hanno capito la gravità del momento. Segnalati 50 casi sospetti

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Prefetto Renato Francesche­lli valuta le domande delle aziende

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