Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Digitale, fornitori, export la produzione dopo il virus»
Tra digitale, 4.0 e occasioni per l’europa: parla il vicepresidente di Confindustria Giulio Pedrollo
F” orniture riportate su scala europea, mercato «regionale» per le nostre imprese digitalizzate. Sono i cambiamenti indotti dalla crisi da coronavirus per il vicepresidente di Confindustria, Giulio Pedrollo.
La globalizzazione sostituita dalla regionalizzazione e le opportunità per l’europa. Con filiere più vicine a casa, in aziende al contrario in cui sarà forse il personale meno accentrato. Guarda a quel che succederà dopo, a i nuovi spazi per l’impresa finita l’emergenza sanitaria, Giulio Pedrollo, l'imprenditore dell’omonima famiglia industriale veronese, vicepresidente di Confindustria. A quello che sarà uno scenario di nuovo stravolto, all’indomani della crisi da coronavirus, come lo fu dieci anni fa dopo la crisi finanziaria.
Ingegner Pedrollo, si torna a discutere di riapertura delle imprese. Ma al di là dei tempi, come sarà cambiato il mercato? Il Veneto si ritroverà senza l’arma dell’export?
«Intanto questa domanda impone una premessa: quella di dare per scontato che avrà successo lo sforzo di far riaprire tutti, con il lavoro nell’immediato del governo di garantire la liquidità alle imprese. Su questo fronte ci sono grida di dolore nemmeno paragonabili perfino rispetto a quelle della crisi del 2009. C’è una paura fondata di non poter riaprire. Su questo bisogna davvero far presto».
E sperando di non ritrovarci con un sistema produttivo dimezzato, qual è la prospettiva che ci aspetta dopo?
«La pandemia sta ridisegnando il sistema industriale. Creando una nuova centralità della manifattura, ridando importanza ad una produzione nazionale e cambiando la globalizzazione in una regionalizzazione degli scambi. Tradotto: vedo decisiva una scala più europea. Dobbiamo approfittarne per creare una grande piattaforma industriale continentale, all’interno di quello che è il mercato più grande al mondo».
E la globalizzazione? «Credo che continuerà più sul fronte delle idee che delle merci, che avranno invece orizzonti più limitati. Al contrario, l’enfasi sullo smartworking, che abbiamo scoperto come funzioni davvero e abbatta le barriere invece di crearle, accelererà la globalizzazione delle idee, a partire da quelle sulla ricerca per sconfiggere il virus, e delle persone. Le aziende potranno andare a caccia di talenti a livello globale, o magari reclutare al Sud Italia senza spostare le persone. Vedo uffici più dispersi e fabbriche più locali».
Perché la crisi ci ha mostrato cosa significhi, in periodi critici, aver delegato intere produzioni, fino alle mascherine.
«Si riafferma una regola sana sia per le aziende ma anche per gli Stati: devi avere sempre un doppio canale di fornitura, un’alternativa. È la nuova centralità della manifattura, guardando bene a cosa produci e badando a difendere le filiere strategiche. E a far rientrare parte delle produzioni dall’estero, a riequilibrare quanto produci a livello globale e vicino a casa, a ricostruire le filiere su scala europea. Riorganizzando le produzioni con automazione e nuove tecnologie 4.0. E qui c’è un altro aspetto in ballo».
E sarebbe?
«La pandemia sta semplicemente accelerando i trend che si stavano indicando già prima, magari però con piani a dieci o trent’anni: la sostenibilità e la lotta ai cambiamenti climatici, l’indebitamento e le tensioni geopolitiche, il digitale».
Già, il digitale.
«È stato impressionante. In poche settimane la scuola ha recuperato a tutta velocità, i padri hanno imparato dai figli e l’hanno portato in azienda; dove si è stati costretti ad ammettere che funziona bene. Un cambiamento epocale, perché sono cambiati i comportamenti. Ad esempio si sta scoprendo che i nostri commerciali possono risparmiare parte dei viaggi all’estero. Che oltretutto chissà quando potremo tornare a permetterci in sicurezza». E il Veneto con la valigia? «È diventata un’immagine obsoleta. Viaggeremo ancora? Sì, ma in modo più mirato, più efficiente e sostenibile. E magari questo darà un valore diverso agli spostamenti. Ridando, se sarà risolto il problema sanitario, un’opportunità in più al nostro settore turistico, che soffre terribilmente».
In questo nuovo spazio le piccole imprese avranno un’opportunità in più per la rapidità a riorganizzarsi o dovranno essere salvate dalle grandi, magari con acquisizioni o aiuti finanziari per salvare know how specifici?
«Temo sarà quest’ultima la soluzione prevalente. Il problema della liquidità è enorme. Temo che per poter salvare le filiere e non veder cancellati know how importanti a volte toccherà alle medie imprese assorbire le piccole».
Riportare lavorazioni vicino a casa, accorciare le filiere. Si può fare o il rischio è che la Cina, con la sua forza industriale e finanziaria, torni ad imporre la soluzione più semplice, quella delle lavorazioni fatte da loro, magari con una via della Seta rafforzata?
«Qui sta al governo e all’europa. La necessità di costruire uno spazio industriale europeo, anche con politiche antidumping, la si discuteva anche prima. Il virus ha ora fatto diventare tutto urgente. Ha fatto capire che anche qui non c’è più tempo».
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