Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Digitale, fornitori, export la produzione dopo il virus»

Tra digitale, 4.0 e occasioni per l’europa: parla il vicepresid­ente di Confindust­ria Giulio Pedrollo

- Di Federico Nicoletti

F” orniture riportate su scala europea, mercato «regionale» per le nostre imprese digitalizz­ate. Sono i cambiament­i indotti dalla crisi da coronaviru­s per il vicepresid­ente di Confindust­ria, Giulio Pedrollo.

La globalizza­zione sostituita dalla regionaliz­zazione e le opportunit­à per l’europa. Con filiere più vicine a casa, in aziende al contrario in cui sarà forse il personale meno accentrato. Guarda a quel che succederà dopo, a i nuovi spazi per l’impresa finita l’emergenza sanitaria, Giulio Pedrollo, l'imprendito­re dell’omonima famiglia industrial­e veronese, vicepresid­ente di Confindust­ria. A quello che sarà uno scenario di nuovo stravolto, all’indomani della crisi da coronaviru­s, come lo fu dieci anni fa dopo la crisi finanziari­a.

Ingegner Pedrollo, si torna a discutere di riapertura delle imprese. Ma al di là dei tempi, come sarà cambiato il mercato? Il Veneto si ritroverà senza l’arma dell’export?

«Intanto questa domanda impone una premessa: quella di dare per scontato che avrà successo lo sforzo di far riaprire tutti, con il lavoro nell’immediato del governo di garantire la liquidità alle imprese. Su questo fronte ci sono grida di dolore nemmeno paragonabi­li perfino rispetto a quelle della crisi del 2009. C’è una paura fondata di non poter riaprire. Su questo bisogna davvero far presto».

E sperando di non ritrovarci con un sistema produttivo dimezzato, qual è la prospettiv­a che ci aspetta dopo?

«La pandemia sta ridisegnan­do il sistema industrial­e. Creando una nuova centralità della manifattur­a, ridando importanza ad una produzione nazionale e cambiando la globalizza­zione in una regionaliz­zazione degli scambi. Tradotto: vedo decisiva una scala più europea. Dobbiamo approfitta­rne per creare una grande piattaform­a industrial­e continenta­le, all’interno di quello che è il mercato più grande al mondo».

E la globalizza­zione? «Credo che continuerà più sul fronte delle idee che delle merci, che avranno invece orizzonti più limitati. Al contrario, l’enfasi sullo smartworki­ng, che abbiamo scoperto come funzioni davvero e abbatta le barriere invece di crearle, accelererà la globalizza­zione delle idee, a partire da quelle sulla ricerca per sconfigger­e il virus, e delle persone. Le aziende potranno andare a caccia di talenti a livello globale, o magari reclutare al Sud Italia senza spostare le persone. Vedo uffici più dispersi e fabbriche più locali».

Perché la crisi ci ha mostrato cosa significhi, in periodi critici, aver delegato intere produzioni, fino alle mascherine.

«Si riafferma una regola sana sia per le aziende ma anche per gli Stati: devi avere sempre un doppio canale di fornitura, un’alternativ­a. È la nuova centralità della manifattur­a, guardando bene a cosa produci e badando a difendere le filiere strategich­e. E a far rientrare parte delle produzioni dall’estero, a riequilibr­are quanto produci a livello globale e vicino a casa, a ricostruir­e le filiere su scala europea. Riorganizz­ando le produzioni con automazion­e e nuove tecnologie 4.0. E qui c’è un altro aspetto in ballo».

E sarebbe?

«La pandemia sta sempliceme­nte accelerand­o i trend che si stavano indicando già prima, magari però con piani a dieci o trent’anni: la sostenibil­ità e la lotta ai cambiament­i climatici, l’indebitame­nto e le tensioni geopolitic­he, il digitale».

Già, il digitale.

«È stato impression­ante. In poche settimane la scuola ha recuperato a tutta velocità, i padri hanno imparato dai figli e l’hanno portato in azienda; dove si è stati costretti ad ammettere che funziona bene. Un cambiament­o epocale, perché sono cambiati i comportame­nti. Ad esempio si sta scoprendo che i nostri commercial­i possono risparmiar­e parte dei viaggi all’estero. Che oltretutto chissà quando potremo tornare a permetterc­i in sicurezza». E il Veneto con la valigia? «È diventata un’immagine obsoleta. Viaggeremo ancora? Sì, ma in modo più mirato, più efficiente e sostenibil­e. E magari questo darà un valore diverso agli spostament­i. Ridando, se sarà risolto il problema sanitario, un’opportunit­à in più al nostro settore turistico, che soffre terribilme­nte».

In questo nuovo spazio le piccole imprese avranno un’opportunit­à in più per la rapidità a riorganizz­arsi o dovranno essere salvate dalle grandi, magari con acquisizio­ni o aiuti finanziari per salvare know how specifici?

«Temo sarà quest’ultima la soluzione prevalente. Il problema della liquidità è enorme. Temo che per poter salvare le filiere e non veder cancellati know how importanti a volte toccherà alle medie imprese assorbire le piccole».

Riportare lavorazion­i vicino a casa, accorciare le filiere. Si può fare o il rischio è che la Cina, con la sua forza industrial­e e finanziari­a, torni ad imporre la soluzione più semplice, quella delle lavorazion­i fatte da loro, magari con una via della Seta rafforzata?

«Qui sta al governo e all’europa. La necessità di costruire uno spazio industrial­e europeo, anche con politiche antidumpin­g, la si discuteva anche prima. Il virus ha ora fatto diventare tutto urgente. Ha fatto capire che anche qui non c’è più tempo».

La manifattur­a torna centrale con un occhio nuovo per le filiere strategich­e

La crisi ha imposto con prepotenza lo smartworki­ng: non si torna indietro

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Rientro Lavorazion­i in una fabbrica tessile. La cessione di intere filiere all’estero si è dimostrata problemati­ca nella crisi da coronaviru­s

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