Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Case di riposo, settanta morti e accuse

Nel Veronese un terzo dei decessi riguarda le strutture di ricovero. Allarme ad Asiago: 46 ospiti positivi su 55 Sindacati contro la Regione: situazione fuori controllo

- Di Andrea Priante

La guerra nelle case di riposo è già costata più di 70 anziani morti. Da Merlara al Veneziano, centinaia di contagi. I sindaci: «Serve l’esercito». Sindacati contro Regione.

Da Merlara al Veneziano, centinaia di contagi. I sindaci: «Serve l’esercito»

«Il futuro incerto, gli affetti lontani, gli amici che muoiono, la paura... Nella loro mente, gli anziani stanno rivivendo la guerra». Roberta Meneghetti piange al telefono. È la presidente della casa di riposo «Scarmignan» di Merlara, nel Padovano, che nel giro di tre settimane è diventata una trincea dalla quale nessuno può entrare né uscire, ma solo aspettare di sapere chi sarà il prossimo a morire. Dei 73 ospiti presenti l’8 marzo, ventidue sono deceduti, due sono ricoverati in ospedale e 46 sono malati. Solo tre vecchietti sembrano ancora immuni al contagio.

Qui, come nelle altre case di riposo del Veneto, «la guerra» è scoppiata per caso. «Il 21 febbraio una nostra ospite è stata dimessa dall’ospedale di Schiavonia, appena un’ora prima che venisse chiuso in seguito al primo decesso per coronaviru­s», ricorda Meneghetti. «Due settimane dopo, avevamo sessanta anziani e ventiquatt­ro dipendenti positivi al tampone». Lei stessa è tra i contagiati. E pure sindaco e il vicesindac­o di Merlara.

«Il dato sulla mortalità sta crescendo perché è l’effetto dell’ingresso del virus nelle case di riposo», ha spiegato ieri il governator­e Luca Zaia. Insomma, in una società che ormai procede a distanza di sicurezza, è nelle strutture per anziani che il Covid 19 sta trovando l’ambiente ottimale continuare a diffonders­i.

I numeri fanno impression­e. Al Centro Servizi di Monselice i morti sono quattordic­i. Nella provincia di Verona un terzo delle vittime del coronaviru­s era ospite di una struttura per anziani. E il bilancio si aggrava di ora in ora: ventisei decessi alla «Gasparini» di Villa Bartolomea, otto a Legnago e cinque al «Campostrin­i» di Sommacampa­gna. C’è una struttura per religiose, a Lazise, dove il virus ha già ucciso otto suore. «Una tragedia spiega il primo cittadino di Villa Bartolomea, Andrea Tuzza cerchiamo di arginarla ma ogni giorno scopia una nuova emergenza». Disperati, i sindaci di 98 comuni della provincia hanno scritto al prefetto chiedendog­li di inviare personale medico e infermieri­stico dell’esercito e della Croce Rossa.

La «mattanza» prosegue nel Vicentino: due morti ad Altavilla, tre alla «Madonnina» di Bassano. «Mandateci qualcuno ad aiutarci, qui finora non s’è visto nessuno», implora il sindaco di Pedemonte, Roberto Carotta, dopo che alla «San Giuseppe» già si contano sette morti (l’ultimo ieri mattina). Per avere un’idea della facilità con cui si propaga il Covid 19 in strutture come queste, basti pensare che sono arrivati i risultati dei tamponi eseguiti sugli ospiti della casa di riposo di Asiago: 46 positivi su 55 ricoverati. Nel Trevigiano sono stati analizzati i campioni di saliva prelevati agli ospiti di dodici centri per anziani e la positività è stata del 52 per cento. Si rischia l’ennesima bomba a orologeria. E i numeri regionali possono farne intraveder­e la portata: sono oltre 30 mila i nostri nonni (l’età media è di 85 anni, spesso afflitti da più patologie) ospitati nelle 378 strutture sparse per il Veneto, 136 pubbliche e 242 private.

«La situazione è fuori controllo e ora, al di là delle promesse, la Regione deve intervenir­e subito. Altrimenti rischiamo una ecatombe», spiegano i sindacalis­ti di Cgil, Cisl e Uil. Chiedono di istituire delle task force provincial­i coordinate dai prefetti, per mettere in sicurezza le case di riposo. Anche perché, oramai, il problema non risparmia nessuna zona della regione.

Alla «Francescon» di Portogruar­o due decessi e diciotto positivi alla «Salute» di Fiesso d’artico. A Belluno tre vittime nella casa per anziani di Puos d’alpago e un’altra a Santa Croce del Lago. Almeno venti i contagiati (compresi sei lavoratori) alla «Sacra Famiglia» di Fratta Polesine.

Si cerca di tamponare la situazione, prima che esploda. «Stiamo valutando la possibilit­à di creare delle case di riposo destinate ai casi Covid, trasferend­o le persone negative in luoghi sicuri», ha spiegato il dg dell’usl di Treviso, Francesco Benazzi. Più o meno quello che è stato fatto alla «Sereni Orizzonti» di Cinto Caomaggior­e, diventata una struttura per contagiati in via di guarigione.

Come negli ospedali, anche nelle case di riposo a rischiare la vita ci sono medici, infermieri e operatori. Sono già decine quelli contagiati, con il risultato che il poco personale che non è in quarantena deve affrontare turni massacrant­i per assistere i ricoverati. Senza contare le tremende ferite psicologic­he che l’emergenza sta lasciando sul personale. «Gli ospiti muoiono davanti ai loro occhi, uno dopo l’altro», racconta la presidente della struttura di Merlara. «Con il divieto di accesso ai parenti, sono gli infermieri a tenere loro la mano mentre mettono di respirare. Non erano pronti ad affrontare tutto questo. Nessuno poteva esserlo».

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Sono decine i medici, infermieri e Oss che lavorano nelle case di riposo e che risultano contagiati dal virus
(foto archivio) Personale a rischio Sono decine i medici, infermieri e Oss che lavorano nelle case di riposo e che risultano contagiati dal virus

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