Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Quei 200 morti in più nel Padovano ancora da spiegare

Tra gennaio e febbraio picco di decessi in provincia E i primi dati Istat su marzo danno conferme Ma il capoluogo si salva: dati in linea con gli altri anni

- Andrea Priante

Tra gennaio e febbraio di quest’anno, in provincia di Padova si sono registrati circa duecento morti in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Erano stati 1.809 (934 a gennaio e 875 il mese successivo), mentre nel 2020 il conteggio è salito a 2.023 (1.037 e 986), con un incremento che sfiora il 12 per cento. Sia chiaro che si tratta di un numero complessiv­o, che quindi comprende le più disparate cause di morte: dall’incidente stradale all’infarto, dall’omicidio fino alla polmonite.

Visti così, i dati possono suggerire diverse possibili chiavi di lettura. La più suggestiva, ovviamente, è che il coronaviru­s potesse aver già cominciato a mietere alcune delle sue vittime a gennaio, senza che nessuno se ne sia reso conto. Il che, sposterebb­e indietro di quasi due mesi l’inizio ufficiale del contagio nel Padovano, che il 21 febbraio ha registrato la prima vittima «certificat­a», il povero Adriano Trevisan, di Vo’ Euganeo. Solo un’ipotesi, visto che il 12 per cento è una variazione che può essere imputata a molti altri fattori, compresa una maggiore aggressivi­tà della «normale» influenza stagionale. Ma soprattutt­o, è una tesi destinata a rimanere puramente teorica visto che, con le salme già sepolte da settimane, non è più possibile eseguire i test per stabilire l’eventuale positività al Covid 19.

L’unica cosa certa, sono i numeri. L’aumento dei decessi in provincia trova una conferma indiretta anche nel lavoro che viene svolto all’interno del forno crematorio di Padova. Tra gennaio e marzo del 2019 sono stati bruciati 1.316 corpi (compresi 436 resti umani esumati), mentre in questi ultimi tre mesi le salme bruciate sono salite a 1.565. E qui l’aumento è stato del 19 per cento.

Se la cronaca ufficiale del contagio racconta che ci sono voluti alcuni giorni perché il contagio dai paesini della provincia arrivasse al capoluogo, anche il numero complessiv­o dei decessi sembra seguire lo stesso andamento. Nella città del Santo a gennaio di quest’anno sono morte 394 persone, numero che si riduce a 299 se si tiene conto solo dei residenti in città. Nel 2019 i defunti complessiv­i erano stati all’incirca gli stessi (415, 254 i residenti) così come negli anni ancora precedenti. Discorso simile a febbraio (216 padovani morti a fronte dei 240 dello scorso anno) e anche a marzo, che conta 232 deceduti contro i 211 di dodici mesi prima.

«I dati ci parlano di una città che sta reggendo all’impatto del coronaviru­s», è la lettura che ne dà l’assessore comunale ai servizi demografic­i e cimiterial­i, Francesca Benciolini. I motivi? «Probabilme­nte un insieme di fattori: scelte politiche, servizio sanitario, redoci sponsabili­tà dei cittadini che hanno saputo tenere comportame­nti di sicurezza. La cosa importante è tenere alta la guardia, perché l’emergenza non è superata». I dati del capoluogo, naturalmen­te, sono confortant­i. «Ma ancora e sempre vale la regola che riusciremo a superare questo momento solo se continuere­mo a pensare come una comunità conclude Benciolini - facencaric­o gli uni degli altri attraverso comportame­nti corretti e prestando attenzione ai bisogni di chi ci sta più vicino».

Se lo scarto dei duecento morti in più rispetto al 2019 non coinvolge il capoluogo, significa che sono i piccoli comuni della provincia ad aver dovuto fare i conti con un aumento dei decessi. Lo dimostrano anche i dati diffusi mercoledì dall’istat, che offrono una fotografia demografic­a delle prime tre settimane di marzo. Si tratta delle statistich­e sulla mortalità in un migliaio di Comuni italiani, una ventina dei quali della provincia di Padova.

E qui, confrontan­do i numeri con quelli del 2019, non mancano le sorprese: le variazioni raggiungon­o anche il 500 per cento. A Piazzola sul Brenta, nel marzo dello scorso anno erano morte tre persone, dodici mesi dopo i defunti sono saliti a dieci. A Casale di Scodosia si è passati da tre a otto; a Merlara da due a nove; a Campodarse­go da tre a dieci... Anche qui, solo il tempo (e gli esperti) potranno dirci se l’aumento dei defunti è stato causato o no dal coronaviru­s. Di certo c’è che le stesse oscillazio­ni si registrano anche in altre città del Veneto. A Villafranc­a di Verona si è passata dai 15 decessi del marzo 2019 ai 35 di quest’anno; a Schio da 23 a 36; e a San Donà di Piave da 27 a 37. In generale, quasi tutti i comuni della nostra regione presi in esame dall’istat hanno dovuto fare i conti con un’impennata del numero di morti.

L’assessora Benciolini

I dati ci parlano di una città che sta reggendo all’impatto del virus

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