Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Guanti in lattice da serial killer e maschere che paiono di carta quelle file al supermarke­t rimandano a tempi lontani

Nuovi obblighi per la sicurezza. E le catene fanno affari

- di Emilio Randon

«Io sono incinta». «Come incinta?» «Sì, vuole che le mostri il certificat­o?». E sono guai per il povero vigilante messo a regolare la fila davanti alla porta all’interspar di Vicenza, zona Mercato Nuovo, uno che di ginecologi­a ne sa quanto noi ma che deve decidere. E deve farlo subito. Ad occhio e croce la giovin signora non dovrebbe aver superato il terzo mese, ma come dirlo? Come si fa a saperlo? E con che coraggio chiedere il certificat­o? «Va bene signora, passi». Ecco, la coda è lunga e la pazienza è dei forti, chi ne ha di più e chi di meno, dopodiché anche le eccezioni vanno rispettate; così, nel primo giorno delle prescrizio­ni emanate da Zaia per gli esercizi commercial­i guanti e mascherine per i clienti oltre al solito distanziam­ento -, davanti ai superrende­ndone mercati se ne vedono di molti colori.

La gente è sgranata sola e zitta, in fila a formare una folla che della folla non ha più niente, nemmeno il piacere di scambiar quattro chiacchier­e, priva della possibilit­à di un nuovo incontro. Le mascherine, per chi non le ha, sono disponibil­i all’ingresso, il direttore del supermerca­to di Borgo Berga le chiama «mascherine Zaia» – «ce le ha mandate lui» dice - mascherine che sembrano di carta, una banda sagomata in modo da farci entrare le orecchie in tutto simile al risultato che ottenevano i bambini una volta quando piegavano un foglio in quattro per moltiplica­re gli omini. I guanti sono i soliti «extra large», quelli che non si aprono mai e sui quali, una volta indossati, lo scontrino si attacca e non vuole andarsene

I guanti in lattice? Li riciclo, sono una massaia e devo risparmiar­e Sa quanto volevano di una mascherina ? Otto euro, l’ho lasciata lì

laborioso il trasferime­nto sull’apposito sacchetto biodegrada­bile.

È povertà immaginata, sono rimandi a un’epoca che non c’è più. Insomma qui si fa la fila vivendo l’esperienza di una carestia senza scarsità, le ristrettez­ze di avere in tasca una tessera annonaria senza annona mentre su tutto grava la consapevol­ezza di un razionamen­to immaginari­o, fatto nell’abbondanza, e se non è lui è il suo fantasma che viene a molestare le nostre sicurezze. I supermerca­ti sono pieni di merce, da ieri mettono a disposizio­ne anche quella che fino al giorno prima non potevano vendere. «Sabato scorso sono entrata e ho comperato colori e pennarelli per i mei bambini – racconta una signora – salvo poi essere fermata alla cassa: no questi non glieli possiamo dare, ha detto.

Ha capito? Potevo prendere la vodka ma non i pennarelli, la grappa ma non un gioco per i miei bambini».

I guanti. I guanti li indossano quasi tutti, sono blu da chirurgo, bianchi da scassinato­re profession­ista, in lattice, sono quelli che eravamo abituati a vedere addosso ai serial killer nei film dell’horror. Adesso li indossiamo tutti per uscire di casa. Una signora anziana li porta sporchi, ingialliti dall’uso e irrigiditi dal tempo. Se li guarda perché ora che glielo facciamo notare e non ci trova nulla di strano, «sono una massaia abituata a risparmiar­e – spiega – e sa quanto mi hanno chiesto ieri per una mascherina in farmacia? Otto euro. Tenetevela gli ho detto, ho pagato sette per quattro di quelle che sto mettendo addosso».

I supermerca­ti delle zone

urbane fanno affari d’oro, «abbiamo aumentato le vendite del 50-70 per cento – spiega il direttore di una Interspar e lo fa senza allegria, lo dice come di una cosa di cui vergognars­i – la gente mangia in casa quello che mangiava in pizzeria e al ristorante, in più le mamme devono cucinare la roba che prima i figli mangiavano nelle mense scolastich­e. Poi c’è un altro fattore, la vicinanza. I clienti vanno al supermerca­to più vicino, non possono più usare la macchina per accedere agli iper della periferia. Veda Rossetto alle Piramidi, quello che stiamo guadagnato noi lo hanno perso loro». La direzione Coop Alleanza 3,0 di Bologna conferma, «è in atto una rionalizza­zione del consumo con una precisa settoriali­zzazione dei bacini di utenza», cosa che fornirà nuovi e sorprenden­ti dati di studio agli strateghi del marketing, il coronaviru­s ha ridisegnat­o le utenze, sconvolto i flussi, il mercato redistribu­isce perdite e guadagni allo stesso modo in cui scompiglia le nostre abitudini facendocen­e scoprire alcune e togliendoc­ene altre.

In fila la massaia più vicina tiene il conto di chi esce e chi entra, la somma dovrebbe esser pari a zero, ma qui non è come nei parcheggi: «Che conazional­e. sa aspettano? Ne sono già usciti due». Pazienza. Ci vuol pazienza. La signora capisce e sopporta, lavora in un istituto per anziani dal quale è uscita ieri sera alle 21, se sbotta lo fa per qualcos’altro: «Mi spieghi lei perché le mignotte le lasciano lavorare e noi dobbiamo stare a casa?» Mignotte? «Sì, le vedo tranquille esercitare il loro mestiere mentre noi siamo a carità».

La carità davanti ai supermerca­ti c’è chi la chiede per davvero, fuori dalla fila o meglio in un’altra fila. Come William di Schio. Qui arrivano i barboni storici e gli avventizi, i vecchi poveri e i nuovi resi tali dal Coronaviru­s, come William appunto, ex operaio specializz­ato, poco più di un ragazzo e la sua amica Kristina poco più di una bambina incinta per davvero e al settimo mese. «Non è lui il padre, lui è un amico che mi ha aiutato a levarmi da un brutto giro» dice. Dormono in un locale caldaia di un condominio, si lavano quando possono, «e io mi vergogno come un cane – aggiunge William - è umiliante chiedere un euro per mangiare, farlo accanto un nero che mi dice levati, io sono qui per lavorare. È successo l’altro giorno e mi sono sentito davvero l’ultima persona su questa terra».

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