Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Guanti in lattice da serial killer e maschere che paiono di carta quelle file al supermarket rimandano a tempi lontani
Nuovi obblighi per la sicurezza. E le catene fanno affari
«Io sono incinta». «Come incinta?» «Sì, vuole che le mostri il certificato?». E sono guai per il povero vigilante messo a regolare la fila davanti alla porta all’interspar di Vicenza, zona Mercato Nuovo, uno che di ginecologia ne sa quanto noi ma che deve decidere. E deve farlo subito. Ad occhio e croce la giovin signora non dovrebbe aver superato il terzo mese, ma come dirlo? Come si fa a saperlo? E con che coraggio chiedere il certificato? «Va bene signora, passi». Ecco, la coda è lunga e la pazienza è dei forti, chi ne ha di più e chi di meno, dopodiché anche le eccezioni vanno rispettate; così, nel primo giorno delle prescrizioni emanate da Zaia per gli esercizi commerciali guanti e mascherine per i clienti oltre al solito distanziamento -, davanti ai superrendendone mercati se ne vedono di molti colori.
La gente è sgranata sola e zitta, in fila a formare una folla che della folla non ha più niente, nemmeno il piacere di scambiar quattro chiacchiere, priva della possibilità di un nuovo incontro. Le mascherine, per chi non le ha, sono disponibili all’ingresso, il direttore del supermercato di Borgo Berga le chiama «mascherine Zaia» – «ce le ha mandate lui» dice - mascherine che sembrano di carta, una banda sagomata in modo da farci entrare le orecchie in tutto simile al risultato che ottenevano i bambini una volta quando piegavano un foglio in quattro per moltiplicare gli omini. I guanti sono i soliti «extra large», quelli che non si aprono mai e sui quali, una volta indossati, lo scontrino si attacca e non vuole andarsene
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I guanti in lattice? Li riciclo, sono una massaia e devo risparmiare Sa quanto volevano di una mascherina ? Otto euro, l’ho lasciata lì
laborioso il trasferimento sull’apposito sacchetto biodegradabile.
È povertà immaginata, sono rimandi a un’epoca che non c’è più. Insomma qui si fa la fila vivendo l’esperienza di una carestia senza scarsità, le ristrettezze di avere in tasca una tessera annonaria senza annona mentre su tutto grava la consapevolezza di un razionamento immaginario, fatto nell’abbondanza, e se non è lui è il suo fantasma che viene a molestare le nostre sicurezze. I supermercati sono pieni di merce, da ieri mettono a disposizione anche quella che fino al giorno prima non potevano vendere. «Sabato scorso sono entrata e ho comperato colori e pennarelli per i mei bambini – racconta una signora – salvo poi essere fermata alla cassa: no questi non glieli possiamo dare, ha detto.
Ha capito? Potevo prendere la vodka ma non i pennarelli, la grappa ma non un gioco per i miei bambini».
I guanti. I guanti li indossano quasi tutti, sono blu da chirurgo, bianchi da scassinatore professionista, in lattice, sono quelli che eravamo abituati a vedere addosso ai serial killer nei film dell’horror. Adesso li indossiamo tutti per uscire di casa. Una signora anziana li porta sporchi, ingialliti dall’uso e irrigiditi dal tempo. Se li guarda perché ora che glielo facciamo notare e non ci trova nulla di strano, «sono una massaia abituata a risparmiare – spiega – e sa quanto mi hanno chiesto ieri per una mascherina in farmacia? Otto euro. Tenetevela gli ho detto, ho pagato sette per quattro di quelle che sto mettendo addosso».
I supermercati delle zone
urbane fanno affari d’oro, «abbiamo aumentato le vendite del 50-70 per cento – spiega il direttore di una Interspar e lo fa senza allegria, lo dice come di una cosa di cui vergognarsi – la gente mangia in casa quello che mangiava in pizzeria e al ristorante, in più le mamme devono cucinare la roba che prima i figli mangiavano nelle mense scolastiche. Poi c’è un altro fattore, la vicinanza. I clienti vanno al supermercato più vicino, non possono più usare la macchina per accedere agli iper della periferia. Veda Rossetto alle Piramidi, quello che stiamo guadagnato noi lo hanno perso loro». La direzione Coop Alleanza 3,0 di Bologna conferma, «è in atto una rionalizzazione del consumo con una precisa settorializzazione dei bacini di utenza», cosa che fornirà nuovi e sorprendenti dati di studio agli strateghi del marketing, il coronavirus ha ridisegnato le utenze, sconvolto i flussi, il mercato redistribuisce perdite e guadagni allo stesso modo in cui scompiglia le nostre abitudini facendocene scoprire alcune e togliendocene altre.
In fila la massaia più vicina tiene il conto di chi esce e chi entra, la somma dovrebbe esser pari a zero, ma qui non è come nei parcheggi: «Che conazionale. sa aspettano? Ne sono già usciti due». Pazienza. Ci vuol pazienza. La signora capisce e sopporta, lavora in un istituto per anziani dal quale è uscita ieri sera alle 21, se sbotta lo fa per qualcos’altro: «Mi spieghi lei perché le mignotte le lasciano lavorare e noi dobbiamo stare a casa?» Mignotte? «Sì, le vedo tranquille esercitare il loro mestiere mentre noi siamo a carità».
La carità davanti ai supermercati c’è chi la chiede per davvero, fuori dalla fila o meglio in un’altra fila. Come William di Schio. Qui arrivano i barboni storici e gli avventizi, i vecchi poveri e i nuovi resi tali dal Coronavirus, come William appunto, ex operaio specializzato, poco più di un ragazzo e la sua amica Kristina poco più di una bambina incinta per davvero e al settimo mese. «Non è lui il padre, lui è un amico che mi ha aiutato a levarmi da un brutto giro» dice. Dormono in un locale caldaia di un condominio, si lavano quando possono, «e io mi vergogno come un cane – aggiunge William - è umiliante chiedere un euro per mangiare, farlo accanto un nero che mi dice levati, io sono qui per lavorare. È successo l’altro giorno e mi sono sentito davvero l’ultima persona su questa terra».