Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
LA SFIDA CHE ADESSO CI ASPETTA
Nella traiettoria che dalla fine del 2019, il momento dell’esplosione del coronavirus in Cina, sta accompagnando le nostre vite, questi sono giorni cruciali sotto tutt’e due i profili che meritano attenzione: quello medicosanitario e quello economico-sociale. Se sotto il primo, la notizia è il rallentamento di contagi e ricoveri, sotto il secondo profilo le notizie sono varie e non tutte dello stesso segno. Che cosa sta accadendo? Sul piano macroeconomico va segnalata la recente pubblicazione sia del «Rapporto di previsione 2020 (marzo)» di Prometeia, sia delle «Previsioni per l’italia (31 marzo)» del Centro studi Confindustria. Per la società di ricerche bolognese lo scenario per il Paese, anche considerando le prime misure di politica fiscale del governo (decreto Cura Italia), prevede una contrazione del Pil del -6,5% per il 2020, una recessione di «portata equivalente alla caduta che si realizzò nel biennio 2008-2009». Simile è la previsione dei ricercatori di Confindustria: «Nel 2020 un calo del Pil è comunque ormai inevitabile: lo prevediamo al -6,0%, sotto l’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini a maggio».
Concludendo: «Si tratta di un crollo superiore a quello del 2009». E sul piano microeconomico, ossia dei singoli attori dell’economia: gli imprenditori e le loro imprese, i lavoratori e le loro famiglie? Le previsioni macro risentono, giocoforza, dei diversi andamenti dei settori di cui si compone un’economia, nazionale o regionale che sia. Territori, per esempio, dove pesano molto settori manifatturieri come l’alimentare, il biomedicale, la farmaceutica, la meccanica strumentale legata a tutte queste produzioni (packaging) e la logistica, possono – cum grano salis - iniziare a pensare alla cosiddetta «Fase 2». Più lenta, purtroppo, sarà la ripresa per i territori dove un contributo rilevante alla formazione della ricchezza viene, ad esempio, dalla manifattura legata al sistema moda, dall’edilizia, dal turismo e dalle connesse attività alberghiere e commerciali. In verità, in ognuno dei nostri territori del Veneto, del Trentino Alto Adige e dell’emiliaromagna coesistono le attività – manifatturiere e terziarie – che qui abbiamo sommariamente elencato. Questo rende ancor più impegnativa la sfida della (progressiva) riapertura delle attività, giacché la coesistenza avviene in proporzioni anche assai diverse fra città e regioni. E’ giusto che ognuna delle comunità regionali, mobilitando le migliori energie da tutti gli ambiti della società civile, prefiguri un sentiero verso quella che sarà la nuova normalità del post-coronavirus. Vi sono, tuttavia, alcune condizioni generali da rispettare prima di avviare qualsiasi organico discorso sulla «Fase 2». Primo, le riaperture delle imprese che man mano avranno luogo, a cominciare da quelle legate alle filiere produttive più importanti per l’industria italiana (e quindi per il nostro export) e alle catene globali del valore (e quindi per la nostra proiezione internazionale), dovranno attuarsi nel più assoluto rispetto delle condizioni di sicurezza per i lavoratori. Secondo, l’afflusso di liquidità alle imprese di tutte le dimensioni, da quelle individuali alle multinazionali passando per le Pmi, grazie all’ampio ventaglio di garanzie pubbliche sui prestiti alle imprese approvato dal Consiglio dei Ministri, dovrà essere rapido e consistente. Terzo, una corposa linea di finanziamenti «europei», dedicati alle infrastrutture medico-sanitarie così come alla ricostruzione del tessuto connettivo delle nostre economie, sia finalmente approvata dall’eurogruppo nella riunione in programma proprio oggi (o nella forma dell’emissione di Coronabond e/o nell’uso del Mes con le sole condizionalità legate all’appropriato uso dei fondi). Beninteso, l’ue ha già preso importanti decisioni: l’iniziale pacchetto da 37 miliardi, le nuove norme sugli aiuti di Stato, la sospensione del Patto di stabilità e il finanziamento con 100 miliardi di schemi nazionali contro la disoccupazione (il programma Sure). C’è la potenza di fuoco della Bce, senza dimenticare l’opera della Banca europea degli investimenti. Ma è nella decisione sulla condivisione dei rischi fra Paesi, in quello che assomiglia per tutti a un dopoguerra, che risiede il vero discrimine fra l’europa della solidarietà e l’europa degli egoismi.