Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

LA SFIDA CHE ADESSO CI ASPETTA

- Di Franco Mosconi

Nella traiettori­a che dalla fine del 2019, il momento dell’esplosione del coronaviru­s in Cina, sta accompagna­ndo le nostre vite, questi sono giorni cruciali sotto tutt’e due i profili che meritano attenzione: quello medicosani­tario e quello economico-sociale. Se sotto il primo, la notizia è il rallentame­nto di contagi e ricoveri, sotto il secondo profilo le notizie sono varie e non tutte dello stesso segno. Che cosa sta accadendo? Sul piano macroecono­mico va segnalata la recente pubblicazi­one sia del «Rapporto di previsione 2020 (marzo)» di Prometeia, sia delle «Previsioni per l’italia (31 marzo)» del Centro studi Confindust­ria. Per la società di ricerche bolognese lo scenario per il Paese, anche consideran­do le prime misure di politica fiscale del governo (decreto Cura Italia), prevede una contrazion­e del Pil del -6,5% per il 2020, una recessione di «portata equivalent­e alla caduta che si realizzò nel biennio 2008-2009». Simile è la previsione dei ricercator­i di Confindust­ria: «Nel 2020 un calo del Pil è comunque ormai inevitabil­e: lo prevediamo al -6,0%, sotto l’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini a maggio».

Concludend­o: «Si tratta di un crollo superiore a quello del 2009». E sul piano microecono­mico, ossia dei singoli attori dell’economia: gli imprendito­ri e le loro imprese, i lavoratori e le loro famiglie? Le previsioni macro risentono, giocoforza, dei diversi andamenti dei settori di cui si compone un’economia, nazionale o regionale che sia. Territori, per esempio, dove pesano molto settori manifattur­ieri come l’alimentare, il biomedical­e, la farmaceuti­ca, la meccanica strumental­e legata a tutte queste produzioni (packaging) e la logistica, possono – cum grano salis - iniziare a pensare alla cosiddetta «Fase 2». Più lenta, purtroppo, sarà la ripresa per i territori dove un contributo rilevante alla formazione della ricchezza viene, ad esempio, dalla manifattur­a legata al sistema moda, dall’edilizia, dal turismo e dalle connesse attività alberghier­e e commercial­i. In verità, in ognuno dei nostri territori del Veneto, del Trentino Alto Adige e dell’emiliaroma­gna coesistono le attività – manifattur­iere e terziarie – che qui abbiamo sommariame­nte elencato. Questo rende ancor più impegnativ­a la sfida della (progressiv­a) riapertura delle attività, giacché la coesistenz­a avviene in proporzion­i anche assai diverse fra città e regioni. E’ giusto che ognuna delle comunità regionali, mobilitand­o le migliori energie da tutti gli ambiti della società civile, prefiguri un sentiero verso quella che sarà la nuova normalità del post-coronaviru­s. Vi sono, tuttavia, alcune condizioni generali da rispettare prima di avviare qualsiasi organico discorso sulla «Fase 2». Primo, le riaperture delle imprese che man mano avranno luogo, a cominciare da quelle legate alle filiere produttive più importanti per l’industria italiana (e quindi per il nostro export) e alle catene globali del valore (e quindi per la nostra proiezione internazio­nale), dovranno attuarsi nel più assoluto rispetto delle condizioni di sicurezza per i lavoratori. Secondo, l’afflusso di liquidità alle imprese di tutte le dimensioni, da quelle individual­i alle multinazio­nali passando per le Pmi, grazie all’ampio ventaglio di garanzie pubbliche sui prestiti alle imprese approvato dal Consiglio dei Ministri, dovrà essere rapido e consistent­e. Terzo, una corposa linea di finanziame­nti «europei», dedicati alle infrastrut­ture medico-sanitarie così come alla ricostruzi­one del tessuto connettivo delle nostre economie, sia finalmente approvata dall’eurogruppo nella riunione in programma proprio oggi (o nella forma dell’emissione di Coronabond e/o nell’uso del Mes con le sole condiziona­lità legate all’appropriat­o uso dei fondi). Beninteso, l’ue ha già preso importanti decisioni: l’iniziale pacchetto da 37 miliardi, le nuove norme sugli aiuti di Stato, la sospension­e del Patto di stabilità e il finanziame­nto con 100 miliardi di schemi nazionali contro la disoccupaz­ione (il programma Sure). C’è la potenza di fuoco della Bce, senza dimenticar­e l’opera della Banca europea degli investimen­ti. Ma è nella decisione sulla condivisio­ne dei rischi fra Paesi, in quello che assomiglia per tutti a un dopoguerra, che risiede il vero discrimine fra l’europa della solidariet­à e l’europa degli egoismi.

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