Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Baban teme la pandemia sociale «Il criterio dei codici è superato riapra chi lavora in sicurezza»

- di Gianni Favero

«Sono convinto che, rispettand­o tutte le regole, una fabbrica possa essere per un qualsiasi suo dipendente un ambiente più igienico e sicuro della propria abitazione». A sostenerlo è Alberto Baban, presidente della rete di imprendito­ri Venetwork ed ex leader nazionale del gruppo della Piccola e media impresa di Confindust­ria, in premessa ad alcune riflession­i sul dibattito-chiave che agita in questi giorni il sistema datoriale e quello sindacale. Ossia il riaprire o tenere ferma ancora la produzione, in particolar­e nel fondamenta­le per il Veneto sistema della manifattur­a. «Fatti due conti, direi che non c’è neanche contrappos­izione, dato che vogliamo entrambe la stessa cosa. Ci sono state proteste di qualche sigla sindacale ma sono casi, penso che tutti abbiamo capito come non mai di essere sulla stessa barca».

Va riconosciu­to, tuttavia, che sui codici Ateco e sulle numerose deroghe concesse dalle prefetture la discussion­e non pare essersi spenta

«È vero, ma dobbiamo anche ammettere che in queste settimane abbiamo maturato una consapevol­ezza più raffinata della questione. Le filiere sono sistemi così complessi che il decreto del Governo non poteva non prevedere spazi di deroga. E parlare di codici Ateco è diventato un po’ alla volta un confronto privo di significat­o».

Vuole dire che, siccome ogni produzione può essere intrecciat­a con le altre, alla fine è meglio dire liberi tutti?

«No, la distinzion­e ci deve essere fra chi ha creato nella propria azienda i requisiti per lavorare in assoluta sicurezza e chi invece no. A prescinder­e da ciò che in quella azienda viene prodotto».

In pratica, perché non ricomincia­re dove si può e alleggerir­e il grande terrore del crash economico...

«In Veneto abbiamo la straordina­ria occasione di trasformar­e le fabbriche in luoghi in cui si educano le persone ad un comportame­nto di attenzione e di prudenza che sarà necessario mantenere ancora a lungo, garantendo alle stesse persone di frequentar­e ambienti sani. In più, attraverso un monitoragg­io periodico del loro stato di salute, otterremmo l’effetto moltiplica­tivo di controllar­e indirettam­ente anche i loro nuclei familiari ed il contesto sociale in cui sono inseriti. Cioè un’attività per tanti versi utilissima a chi studia i modelli di propagazio­ne e il funzioname­nto delle pratiche di contenimen­to di questa epidemia».

I Lavoratori accetteran­no il controllo quotidiano? Rinunciare alla privacy fino a questo punto in cambio di maggiore protezione sanitaria è accettabil­e?

«Ci sono mille modi di tutelare le identità dei lavoratori nel trasmetter­e i loro dati alle strutture che analizzano­i comportame­nti del virus nella post-pandemia. È un lavoro che si compie attraverso pacchetti di numeri e che giudico preziosiss­imo per prepararci a una eventuale ripresenta­zione di fenomeni simili».

C’è chi la chiama pandemia economica...

«Stiamo giocando con il fuoco. Se non andiamo in aiuto con il via libera alla riapertura almeno alle categorie produttive della manifattur­a e dei servizi, permettend­o loro di poter rimanere sul mercato, andiamo dritti verso un rischio sociale enorme, con disoccupaz­ione a due cifre che non potremmo più gestire. Lavorare o non lavorare non è più un argomento sindacale ma di tenuta sociale».

Siamo tutti vittime senza colpa della maledizion­e del Covid-19?

«Senza dubbio paghiamo l’errore strategico enorme di aver tagliato fondi pubblici per la sanità. Non si è mai messo nel conto che una calamità del genere potesse colpire anche il ricco Occidente».

Cosa fare Penso che, rispettand­o le regole, una fabbrica possa essere, per il dipendente, più igienica e sicura rispetto a casa

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