Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Autonomia? Sì, ma Zaia non processi lo Stato»
«L’emerenza Covid è stata un test per l’autonomia. Ma non ha funzionato per tutti». Così il sottosegretario Variati.
«Sono stato sindaco e consigliere regionale, ho presieduto l’unione delle Province, ora ho la delega agli enti locali: conosco il valore dei territori e sono sempre stato autonomista. Bertolissi è un amico, per questo mi permetto di contestare con franchezza la sua ricostruzione, che poi è quella propugnata da Zaia, per cui lo Stato è sempre brutto, cattivo, avaro, inefficiente, mentre la Regione sempre bella, buona, generosa, “sul pezzo”. È uno specchietto per allodole che non risponde a verità».
Sottosegretario Achille Variati, ammetterà che soprattutto nella prima fase, quella dell’esplosione della pandemia, da Roma sono arrivati segnali contraddittori e se n’è ricavata l’impressione di una gran confusione.
«Sono stati fatti degli errori, certo, ma chi non ne ha commessi? Davanti ad un virus sconosciuto, ai contagi crescenti, ai morti, chi non ha sbagliato? Ricorda quando dalle Regioni qualcuno diceva di non preoccuparsi, rifiutava le zone rosse, invitava a tenere tutto aperto, salvo poi cambiare idea, invocare la chiusura totale, ordinare tamponi di massa, perfino più realista del re? Quelli non sono stati messaggi contraddittori, confusi? Le Regioni non hanno corretto nulla, altroché. E poi quando parliamo di Regioni di che parliamo esattamente? Sono venti e così diverse tra loro...».
Il governo non ha niente da rimproverarsi?
«Ripeto, la perfezione non è di questo mondo, sicuramente alcune cose si potevano fare meglio e dagli errori spero impareremo per il futuro. Ma rivendico con forza la totale assunzione di responsabilità da parte dello Stato in un momento difficilissimo, quello della limitazione alla libertà di circolazione e alla libertà d’impresa, diritti costituzionali. Toccava allo Stato decidere e lo Stato ha deciso, mentre altri tentennavano, a cominciare dall’oms».
Va detto che non tutte le Regioni hanno poi reagito con lo stesso successo.
«Senza dubbio il Veneto è stato un esempio per l’italia ma ciò è stato possibile perché negli anni, con fatica, è stato salvaguardato il modello capillare della medicina territoriale e dei servizi di assistenza domiciliare. Ricordo bene le tante battaglie fatte in consiglio regionale, quando invece si guardava con ammirazione al modello ospedale-centrico della Lombardia e si immaginava di marginalizzare i medici di base per puntare su cliniche di eccellenza. Non tutte quelle lotte sono andate a buon fine, penso alla mancata riforma delle Ipab che temo sia tra le cause di ciò che accaduto nelle case di riposo».
Secondo lei questo modello di gestione è stato un «anticipo» dell’autonomia, come ha detto Bertolissi e rivendica lo stesso Zaia?
«Credo proprio di sì, l’emergenza coronavirus è stata un esame e il Veneto, complessivamente, l’ha superato. Se ne ricava che l’autonomia va guadagnata sul campo, non può essere una vuota rivendicazione di forma. L’autonomia, se data e mal gestita, è un danno e lo vediamo già oggi con alcuni statuti speciali. L’autonomia non può essere per tutti, mi pare evidente quando ci sono regioni che tremano all’idea che possa arrivare un treno da Nord, perché sanno di essere impreparate nell’affrontare l’epidemia. L’autonomia deve coniugare qualità, efficienza, responsabilità. Il Veneto è pronto».
Nell’avvio della «Fase 2» la collaborazione tra Stato e Regioni si è rivelata fondamentale.
«Assolutamente, davvero una “leale collaborazione” per cui lo Stato ha deciso di fidarsi delle Regioni lasciando loro l’ultima parola sulle riaperture ma, riservandosi di controllare l’andamento dei contagi ed intervenire nel caso in cui si rendesse necessario per ritardi, timidezze, errori. Alla fine, è lo Stato a fare sintesi dei tanti, forti interessi in gioco».
Eppure proprio lo Stato è sul banco degli imputati, accusato d’essere inefficiente.
«Come dicevo, è una narrazione in voga, anche perché alimentata ad arte, ma non veritiera. I ritardi nell’erogazione della cassa integrazione, per dire, sono figli delle burocrazie regionali, veri e propri imbuti, venti meccanismi diversi in cui Stato e Inps hanno dovuto mettere ordine. Tutte le misure per affrontare la grave crisi che ci attanaglia e rilanciare l’economia sono state varate dallo Stato. Giustissimo, per carità, ma perché non si dice? La Regione che iniziative ha messo in campo per aiutare lavoratori e imprese? E ancora, gli investimenti in sanità: li fanno le Regioni, certo, ma i soldi li mette lo Stato e anche questo si tace. Non parliamo di spiccioli: 8 miliardi e 845 milioni negli ultimi 5 mesi, più di quanto sia stato stanziato dal 2015 al 2019. E poi 5 mila medici e 12 mila infermieri assunti, la riorganizzazione dei Pronto Soccorso, l’aumento delle terapie intensive da 3.500 a 11.000, più 115%. Ecco, io credo che “leale collaborazione” sia anche riconoscere i meriti degli altri».