Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Produzione e pagamenti Il crollo portato dal virus
Effetto Covid, indagine-choc di Assindustria: «Al governo serve più coraggio»
Pagamenti in ritardo per un numero triplicato di aziende, produzione e fatturati in caduta libera, l’export che non ce la fa più a compensare il crollo del mercato interno: sono i risultati dell’indagine congiunturale di Assindustria Padova-treviso fra 675 associati.
Un risultato che non ha precedenti, da quando le performance delle nostre imprese sono misurabili in serie storiche. Come, del resto, non hanno precedente alcuno l’emergenza virus e il blocco delle attività che ne è derivato. Per le industrie dell’area centrale del Veneto, riunite sotto l’insegna di Assindustria Padova-treviso, tutto questo ha comportato una caduta media della produzione del -6,3%, ma un’impresa su quattro risente di una perdita che supera il 40%.
Di più: nel primo trimestre dell’anno - quello in cui, si noti bene, per due mesi su tre si è lavorato a ritmi pressoché regolari - forti tensioni si sono abbattute sulla liquidità aziendale e sui tempi dei pagamenti, che hanno subito ritardi per il 61% delle imprese (rispetto al 20% stabile del 2019). Un crollo del 10,4% si è registrato nei fatturati derivanti dal mercato interno, con flessioni quasi doppie per le imprese più piccole. Migliore la tenuta per l’export, che ha contenuto il calo (-2,1), grazie a una domanda internazionale debole ma ancora presente nel primo bimestre. Gli ordinativi, infine, invertono bruscamente la tendenza, che era stata sia pur di poco positiva nel 2019 (+0,9%) e subiscostriali no una netta contrazione del 7%, destinata ad allargarsi durante l’anno.
La prospettiva indicata dagli industriali di Padova e Treviso, infatti, è di un ulteriore e più profondo crollo di tutte le voci nel secondo trimestre: l’86% degli imprenditori consultati da Assindustria si attende una caduta della produzione e del fatturato da qui a fine giugno, con percentuali superiori al -20 per una metà abbondante delle aziende e al -40 per un quarto di esse. Le vendite sono stimate letteralmente in picchiata per l’italia, e questa volta non basteranno le esportazioni a riequilibrare i conti: 7 aziende su 10, infatti, si aspettano una contrazione del business anche oltre confine. Ne risente, com’è ovvio, anche il misuratore di fiducia più indicativo: la metà delle imprese confermerà gli investimenti programmati ma un 30% almeno li andrà a dimezzare, per effetto del clima complessivo.
Fin qui i numeri, tutt’altro che incoraggianti anche se non certo inattesi, dell’indagine congiunturale al tempo del Covid, condotta da Assindustria Venetocentro su un campione di 675 aziende. Già l’analogo report, rilasciato la scorsa settimana dagli indudi Verona, aveva dato risultati molto simili. «Perciò avverte Maria Cristina Piovesana, presidente di Assindustria - la ripartenza sarà, purtroppo, incerta e prudente».
Miracoli non ne farà, in questo senso, il Decreto Rilancio appena presentato dal governo nazionale: «È un intervento corposo e complesso (500 pagine e 250 articoli, ndr), fatto di molti interventi - è il giudizio di Piovesana - ma fin troppo frammentati per attenuare veramente l’effetto dello shock economico. Alle fine, sono misure difensive, pensate per aiutare il Paese a sopravvivere, ma per il rilancio servirebbe tutt’altra spinta, quella degli investimenti».
Detto in due parole, gli industriali di Venetocentro chiedono al governo più coraggio nella fase di ripartenza. «Più coraggio, più vicinanza ai produttori - sottolinea il presidente vicario Massimo Finco - e, invece, meno pulsioni assistenziali. Va bene lo stop dell’irap a giugno, semplice e automatico, ma la vera sfida è abolirla del tutto, quell’imposta (solo per il Veneto, parliamo di 2 miliardi di introito per l’erario, ndr). Sbloccare le opere pubbliche già finanziate - chiude Finco - e rilanciare gli investimenti, a cominciare da quelli del Piano Industria 4.0, è l’unica strada per evitare che, in autunno, ci ritroviamo con una vera emergenza sociale».
L’ultimo dato, sempre per capire l’aria che tira: l’occupazione per ora arretra di poco (-1,6%). Ma questo è il frutto del più massiccio ricorso alla cassa integrazione che si ricordi.