Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
La pandemia e il calendario politico del rilancio
Ma le risorse necessarie al rilancio sono di un altro ordine di grandezza. Il vero rilancio – questo è il cuore del problema resta tutto affidato al piano europeo e al Recovery Fund. Un piano che dovrebbe emulare quello Marshall di ricostruzione post bellica e che il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha già proposto di denominare Piano De Gasperi. Un piano che si immaginava da 10001500 miliardi di euro di contributi e prestiti con non meno di 150-200 miliardi destinati a progetti localizzati in Italia: da ieri divenuti i 500 miliardi di contributi (100 per l’italia?) della proposta Macronmerkel. Ma risorse tutte ancora da guadagnare: un obiettivo che ci sta facendo dimenticare che avremmo bisogno già adesso di idee precise sul come impiegarle.
Di nuovo l’orologio politico in ritardo sul calendario: quello della della ripresa questa volta. La partecipazione italiana al rilancio europeo, una occasione irripetibile –l’ultimo treno?- per rilanciare la crescita del nostro Paese, non è compito che si possa affidare a qualche comitato scientifico e alla mediazione politica dentro il governo. Per promuovere un vero «rilancio» occorre saper riconoscere le priorità europee alle quali ci si dovrà allineare (green deal e digitale) e «scegliere» settori e imprese che possano meglio agganciarsi ai trend di sviluppo tecnologico, ambientale ed energetico già in atto. Su questo molto incideranno le scelte delle imprese. Ma il futuro economico del nostro Paese si giocherà almeno altrettanto al di fuori delle aziende. Occorre ottenere che una parte non secondaria del Recovery fund sia dedicata alle infrastrutture, all’adeguamento del capitale fisso sociale, tangibile ed intangibile, dell’italia. Ma a quelle giuste. Quelle, e ferocemente solo quelle, capaci di incrementare con economie esterne la produttività del sistema: tutte e solo quelle «economiche» (telecomunicazioni, trasporto, energia), quelle «sociali» dedicate a scuola ed università e quelle «ambientali» dedicate al ciclo dell’acqua e alla difesa del suolo. Scelte difficili per una politica debole. Un programma complesso, ma che non possiamo affidare – con la scusa del ritardo - all’arbitrio del principe. Avremo successo in Europa e soprattutto nella sfida «finale» per la nostra crescita solo se attorno al programma di investimenti costruiremo il consenso - una volta per tutte - con il metodo della «programmazione», parola desueta, fatto di validazione democratica parlamentare di proposte formulate con il miglior contributo tecnico e verificate a livello delle autonomie territoriali e delle forze sociali. Ancor più decisivo sarebbe poi, ma sappiamo di chiedere troppo, l’assegnazione del rilancio a un soggetto istituzionale - con poteri simili a quelli della Banca d’italia capace di tenerne la realizzazione inevitabilmente di medio-lungo periodo- al riparo da interessi particolari, ivi compresi quelli mutevoli dei cicli politici ad ogni livello di governo.