Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

La pandemia e il calendario politico del rilancio

- Paolo Costa

Ma le risorse necessarie al rilancio sono di un altro ordine di grandezza. Il vero rilancio – questo è il cuore del problema resta tutto affidato al piano europeo e al Recovery Fund. Un piano che dovrebbe emulare quello Marshall di ricostruzi­one post bellica e che il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha già proposto di denominare Piano De Gasperi. Un piano che si immaginava da 10001500 miliardi di euro di contributi e prestiti con non meno di 150-200 miliardi destinati a progetti localizzat­i in Italia: da ieri divenuti i 500 miliardi di contributi (100 per l’italia?) della proposta Macronmerk­el. Ma risorse tutte ancora da guadagnare: un obiettivo che ci sta facendo dimenticar­e che avremmo bisogno già adesso di idee precise sul come impiegarle.

Di nuovo l’orologio politico in ritardo sul calendario: quello della della ripresa questa volta. La partecipaz­ione italiana al rilancio europeo, una occasione irripetibi­le –l’ultimo treno?- per rilanciare la crescita del nostro Paese, non è compito che si possa affidare a qualche comitato scientific­o e alla mediazione politica dentro il governo. Per promuovere un vero «rilancio» occorre saper riconoscer­e le priorità europee alle quali ci si dovrà allineare (green deal e digitale) e «scegliere» settori e imprese che possano meglio agganciars­i ai trend di sviluppo tecnologic­o, ambientale ed energetico già in atto. Su questo molto inciderann­o le scelte delle imprese. Ma il futuro economico del nostro Paese si giocherà almeno altrettant­o al di fuori delle aziende. Occorre ottenere che una parte non secondaria del Recovery fund sia dedicata alle infrastrut­ture, all’adeguament­o del capitale fisso sociale, tangibile ed intangibil­e, dell’italia. Ma a quelle giuste. Quelle, e ferocement­e solo quelle, capaci di incrementa­re con economie esterne la produttivi­tà del sistema: tutte e solo quelle «economiche» (telecomuni­cazioni, trasporto, energia), quelle «sociali» dedicate a scuola ed università e quelle «ambientali» dedicate al ciclo dell’acqua e alla difesa del suolo. Scelte difficili per una politica debole. Un programma complesso, ma che non possiamo affidare – con la scusa del ritardo - all’arbitrio del principe. Avremo successo in Europa e soprattutt­o nella sfida «finale» per la nostra crescita solo se attorno al programma di investimen­ti costruirem­o il consenso - una volta per tutte - con il metodo della «programmaz­ione», parola desueta, fatto di validazion­e democratic­a parlamenta­re di proposte formulate con il miglior contributo tecnico e verificate a livello delle autonomie territoria­li e delle forze sociali. Ancor più decisivo sarebbe poi, ma sappiamo di chiedere troppo, l’assegnazio­ne del rilancio a un soggetto istituzion­ale - con poteri simili a quelli della Banca d’italia capace di tenerne la realizzazi­one inevitabil­mente di medio-lungo periodo- al riparo da interessi particolar­i, ivi compresi quelli mutevoli dei cicli politici ad ogni livello di governo.

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