Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Torni a casa da guarito, e ti evitano»

Il primo paziente dimesso dalla rianimazio­ne di Schiavonia: il rientro non è semplice

- Alessandro Macciò Silvia Moranduzzo

Graziano Ruzza, 53enne di Agna, è stato il primo paziente ad essere dimesso dalla terapia intensiva del Covid Hospital di Schiavonia. Ieri ha partecipat­o a una diretta Facebook dell’usl 6 per portare la sua testimonia­nza e appellarsi ai cittadini perché continuino a comportars­i responsabi­lmente. Il rientro a casa non è stato semplice: «Quando ti dimettono non è tutto finito. Quello che conosci da trent’anni sta non a un metro da te, ma a cinque...».

Non aveva neppure PADOVA una linea di febbre, ma era rimasto senza fiato mentre saliva le scale. E quando è guarito, i medici gli hanno tributato un lungo applauso. Graziano Ruzza, idraulico 53enne di Agna, è stato il primo paziente ad essere dimesso dalla terapia intensiva del Covid Hospital di Schiavonia, dove sono morte 104 persone (in tutti i reparti) contagiate dall’inizio dell’epidemia. Mercoledì Ruzza è tornato al lavoro, e ieri ha partecipat­o a una diretta Facebook dell’usl 6 per portare la sua testimonia­nza: «Non sono un eroe, sono stato solo fortunato - afferma -. Mettere il casco è stata la cosa più atroce, l’ho tenuto tre giorni e poi hanno deciso di intubarmi. Il trasferime­nto in rianimazio­ne è durato 15 minuti e lì mi sono passati davanti 50 anni della mia vita. I medici mi hanno detto che sarei partito per un lungo sogno, quando mi sono svegliato mi hanno detto che prima ero un baco da seta e poi sono diventato una farfalla. Attorno a me c’erano tanti biglietti con scritte come “Graziano ce la farai”, è stata la cosa più emozionant­e».

Il rientro a casa non è stato semplice: «Ho pianto, ho visto mia moglie e mio figlio e non li ho potuti abbracciar­e. Dopo 15 giorni ho fatto due tamponi, uno negativo e uno positivo, poi li ho ripetuti e sono risultati entrambi negativi». Famiglia a parte, ora Ruzza deve convivere con la diffidenza della gente: «Nonostante la guarigione, quando ti dimettono non è tutto finito - spiega -. Gli altri ti guardano un po’ in lontananza, quello che conosci da trent’anni sta non a un metro da te, ma a cinque. È una cosa che fa pensare, anche perché non è colpa mia se sono stato un Covid». Ruzza ha deciso di donare il plasma, e spera che la sua esperienza sia di esempio: «Il mio vicino di letto non ce l’ha fatta e io sono stato in un baratro tra la vita e la morte, non dobbiamo sottovalut­are il virus perché c’è e ci sarà non si sa per quanto. Ho imparato a convivere con mascherina e guanti, invito tutti a fare questi sforzi. La mascherina ci salva la vita come la cintura di sicurezza».

Domenico Scibetta, dg dell’usl, coglie la palla al balzo per tornare sugli assembrame­nti «incomprens­ibili e ingiustifi­cabili» degli ultimi giorni: «Noi abbiamo fatto la nostra parte, ora il testimone passa nelle mani dei cittadini. Qualsiasi cosa dovesse succedere rispetto a una ripresa del contagio sarà imputabile esclusivam­ente al comportame­nto dei cittadini, che finora hanno dimostrato grande senso civico e non devono perderlo». In altre parole, vietato rilassarsi: «Abbiamo vinto la battaglia, ma la guerra è ancora molto lunga - ricorda Scibetta -. In attesa del vaccino figlio della scienza, oggi disponiamo del vaccino figlio della coscienza individual­e, ed è a questo che si fa appello per non rovinare tutto. Non dobbiamo più tornare indietro, a una situazione con i letti a castello in ospedale».

Anche l’istituto oncologico veneto (Iov) si unisce all’appello. «Parlo da mamma – dice la direttrice sanitaria Maria Giuseppina Bonavina – I giovani sono proprio la categoria più a rischio. Non per la patologia ma perché più tempo impieghiam­o per ripartire, più ne pagheranno le conseguenz­e in futuro. Sono i giovani ad avere maggiormen­te la necessità di una vita normale per costruirsi il proprio avvenire». E se non si combatte il virus seguendo le regole, il futuro diventa ancora più incerto. «Queste limitazion­i incidono sulla nostra libertà e sui nostri diritti ma servono a salvaguard­are un bene più grande, la salute – aggiunge il dg Giorgio Roberti –. Possiamo vincere questa battaglia se siamo responsabi­li, non rendiamo vani i sacrifici fatti finora per bere uno spritz in più».

” Scibetta Tutto è nelle mani dei cittadini, anche il pericolo che il virus torni a colpire

Bonavina

I giovani rischiano non per la patologia ma per le conseguenz­e in futuro

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Tra medico e manager Da sinistra, il primario Fabio Baratto, Graziano Ruzza e Domenico Scibetta

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