Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Lockdown, la coda lunga grandi catene in crisi
Da Pittarosso a H&M, sindacati preoccupati per le grandi catene.
I negozi che, fatto il calcolo costi-benefici, preferiscono allungare la cassa integrazione e rimanere chiusi, attendendo tempi più favorevoli. E quelli che riaprono, ma solo richiamando in servizio metà degli addetti. Con il timore, proiettato sull’autunno, che si apra una fase dirompente di richieste di tagli di personale. È la situazione tutta in salita che stanno vivendo le catene della grande distribuzione non alimentare (ma in questa fase in difficoltà sono anche quelle del food senza strutture di prossimità), dall’abbigliamento alla moda agli accessori, con gli effetti dei mancati incassi dei due mesi di chiusura che si sono scaricati spesso in situazioni già non facili.
Il caso del giorno è quella della catena dei magazzini delle calzature Pittarosso di proprietà del fondo inglese Lion Capital, che ha presentato l’altro ieri al giudice Giovani Amenduni la richiesta di concordato in bianco in continuità al tribunale di Padova, e che dovrebbe vedere entro breve la nomina dei commissari. Qui i mancati ricavi delle chiusure (si parla di cifre intorno ai 70 milioni di euro) hanno fatto saltare d’un colpo l’accordo di ristrutturazione del debito con le banche (per cifre sui 150 milioni) e i piani intorno a cui era stato costruito, per uscire da una situazione già complicata.
Così l’azienda ha deciso di ricorrere al concordato preventivo, per tutelarsi dai rischi, e studiare in quattro mesi un piano da presentare ai creditori per uscire dal tunnel, studiato dai consulenti finanziari Gianfranco Peracin dello studio Cortellazzo & Soatto e dai consulenti legali dello studio Gianni, Origoni, Grippo. I 200 negozi sono riaperti e i flussi di cassa dei primi giorni confortanti; e l’azienda ha avviato il confronto a livello nazionale con i sindacati, per garantire stipendi e dipendenti, 1900 di cui 344 in Veneto tra negozi e la sede centrale di Legnaro, nel Padovano.
Ma oltre Pittarosso, altri casi lanciano segnali preoccupanti. Che toccano i 31 dipendenti dei negozi che H&M ha annunciato di voler chiudere a Vicenza e Bassano, e i 150 ciascuno in Veneto delle altre due catene finite in concordato preventivo, Scarpe&scarpe
e Conbipel, che toccano 150 dipendenti. E poi c’è il caso del centro commerciale Tom di Santa Maria di Sala, nel Veneziano, 200 addetti e altri 600 con l’indotto, che non ha riaperto. E ancora la Galimberti in amministrazione controllata, ch giusto ieri ha annunciato al ministero di voler chiudere i due negozi a marchio Euronics nel Veronese. Senza contare casi ormai usciti dai radar, come i 120 dipendenti in Veneto di Mercatone Uno, a cui è stata appena prorogata di sei mesi la cassa integrazione straordinaria. Senza dimenticare la vicenda Auchan-conad, con i 700 dipendenti in Veneto ancora in Margherita distribuzione in attesa di una collocazione definitiva.
I timori da parte sindacale è che le difficoltà si possano allargare. «Siamo seriamente preoccupati per l’evoluzione delle riaperture nella fase due - dice Maurizia Rizzo, segretaria regionale di Fisascat. la categoria del commercio di Cisl -. Ci stiamo interrogando sui rischi di esuberi da fine di agosto, allo scadere degli ammortizzatori-covid. Già grandi catene ci comunicano la proroga della cassa per altre 5 settimane, facendo capire che la situazione dovrà essere riaffrontata in autunno».
«Il settore si stava riprendendo dopo anni incerti. Questo colpo non ci voleva e ha messo in difficoltà le aziende già in situazioni di tensione. Alcuni prorogano la cassa integrazione, sperando di riaprire in condizioni più favorevoli - conclude Cecilia De Pantz, segretaria regionale della Filcams Cgil -. In questa situazione sarebbe deleterio riprendere con le aperture domenicali, che appesantirebbero i costi».