Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Stress per il 70% dei sanitari
Studio della Cattolica sul personale in prima linea nell’emergenza Covid: gli infermieri i più colpiti. E ieri una sola vittima, all’ospedale di Schiavonia
Sette operatori sanitari su dieci, tra VENEZIA quelli in prima linea per l’emergenza Covid-19, sono afflitti da stress, insonnia, palpitazioni, ansia. Lo rivela uno studio dell’università Cattolica di Milano, lo confermano psichiatre e psicologhe venete: «I più colpiti sono infermieri, molto vicini ai malati, e tecnici di laboratorio, al lavoro giorno e notte da tre mesi».
Dopo 100 giorni di emergenza coronavirus Covid-19, con la curva del contagio sempre più vicina allo zero e l’adrenalina che inizia a calare, emerge il malessere fisico e soprattutto psicologico accumulato dagli operatori in prima linea giorno e notte. Finora medici, infermieri, tecnici di laboratorio, operatori sociosanitari hanno stretto i denti perché dovevano andare avanti comunque, ma adesso in molti si stanno rivolgendo alle équipe di psicologi e psichiatri attivate da ogni azienda sanitaria veneta proprio per supportarli. Secondo l’ultimo studio dell’università Cattolica di Milano il 70% dei sanitari impegnati a contrastare la pandemia nelle regioni più colpite, cioè Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, mostra sintomi di burnout. Ovvero stress associato a minor resa sul lavoro, affaticamento fisico e mentale, cattiva salute. Il 65% si sente più irritabile; il 60% soffre di insonnia; il 50% ha incubi frequenti; il 45% ha crisi di pianto e il 35% soffre di palpitazioni. Durante il picco del contagio, 8 su 10 hanno temuto di essere contagiati, indipendentemente dagli anni di esperienza, e oggi un operatore su tre evidenzia segni di «alto esaurimento emotivo» (si sente svuotato, logorato ed esausto), uno su quattro «moderati livelli di depersonalizzazione», ovvero la tendenza ad essere cinici, a trattare gli altri in maniera impersonale o come «oggetti», ad avvertire indifferenza nei confronti di malati e familiari.
«In effetti continuiamo a ricevere molte richieste di aiuto — conferma la professoressa Angela Favaro, primario della Psichiatria in Azienda ospedaliera a Padova, che insieme agli psicologi ha attivato un servizio di supporto al personale —. Il disagio si esprime in tre forme diverse: ci sono gli operatori colpiti da stress acuto legato anche al trauma di dover assistere a tanta sofferenza e non sentirsi in grado di affrontarla, con relativa sensazione di impotenza e di non riuscire a fare mai abbastanza; ci sono persone che già in precedenza accusavano disagi e che l’emergenza ha reso consapevoli della loro fragilità. Ulteriormente minata dalla riorganizzazione del lavoro dal giorno alla notte, anche nei reparti non Covid, dalla paura di non saper cosa fare davanti a pazienti infetti, di non riuscire a procurarsi i dispositivi di protezione, di non essere in grado di seguire le procedure. La terza fattispecie — aggiunge la professoressa Favaro — riguarda i sanitari che si sono ammalati, hanno sperimentato sulla loro pelle la malattia, lo choc di sentirsi tagliati fuori dal mondo, isolati dagli affetti, e per di più afflitti dal senso di colpa di non poter più essere d’aiuto, di aver lasciato il reparto scoperto, gravando i colleghi di un ulteriore carico di lavoro».
E in questo momento si avvertono ancora di più la stanchezza e il malessere. «È vero, ma sul centinaio di dipendenti dell’ospedale che seguiamo, solo dieci sono medici — rivela il primario di Psichiatria — i più stressati sono gli infermieri, molto vicini ai malati, e i tecnici di laboratorio, che per oltre tre mesi hanno lavorato giorno e notte per garantire in fretta l’esito degli esami a sostegno della diagnosi». Il riferimento è soprattutto all’analisi dei tamponi, ormai arrivati a quota 660.018: il poco personale dei 14 laboratori di Microbiologia del Veneto non si è mai fermato, in particolare quello di Padova, capofila regionale e capace di processarne anche seimila al giorno. Ma come se ne esce? «Ad alcuni basta un colloquio di sostegno per elaborare il disagio e dargli un senso — chiude la professoressa Favaro — altri invece hanno bisogno di un trattamento a lungo termine». «Ciò che logora è il dover gestire un così alto livello di stress per un tempo tanto prolungato e rinunciando alla propria quotidianità — osserva la dottoressa Emilia Laugelli, responsabile del servizio di aiuto alla popolazione «Inoltre» attivato dalla Regione (numero verde 800.33.43.43 attivo h24) e psicologa al Covid Hospital di Santorso —. Io ho seguito infermiere mamme che si sono dovute allontanare da casa e trasferire negli alloggi messi a disposizione dall’usl Berica per il timore di contagiare i loro bambini, ho aiutato medici in grande difficoltà perché si sono trovati a lavorare in Terapia intensiva pur non avendolo mai fatto prima. Ho assistito infermieri che a causa dello scafandro e di tutte le altre protezioni stavano anche dieci ore senza mai mangiare nè bere per non dover andare in bagno e ricominciare poi la complicata vestizione, operatori resi insonni dal continuo cambio dei turni e sanitari presi dall’ansia a causa dell’eterno stato di allerta e dall’aver cambiato modo di lavorare e di vivere all’improvviso». Se sono riusciti ad andare avanti e a salvare tante vite è per lo spirito di gruppo che l’emergenza ha fatto emergere. «Mai come in questo periodo i sanitari si sono stimati e voluti bene — conferma la dottoressa Laugelli — si sono uniti verso l’obiettivo comune. Lo spirito di squadra è stata la loro forza e la salvezza collettiva ma ora dobbiamo ricambiare, mettendoli nella condizione di sentirsi importanti tutti i giorni, non solo nell’emergenza».
Intanto i contagi sono sempre meno, 15 su 14.591 tamponi eseguiti, e ieri si è registrata una sola vittima, al Covid Hospital di Schiavonia. In Terapia intensiva i degenti sono 28, soltanto sei ancora positivi al coronavirus, e in reparto 387, 265 dei quali già negativi. Ma il governatore Luca Zaia guarda già a settembre e alla recrudescenza annunciata dagli scienziati: «Il Veneto conta di arrivare a 30 mila tamponi processati, se ottimizziamo le macchine».