Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Stress per il 70% dei sanitari

Studio della Cattolica sul personale in prima linea nell’emergenza Covid: gli infermieri i più colpiti. E ieri una sola vittima, all’ospedale di Schiavonia

- di Michela Nicolussi Moro

Sette operatori sanitari su dieci, tra VENEZIA quelli in prima linea per l’emergenza Covid-19, sono afflitti da stress, insonnia, palpitazio­ni, ansia. Lo rivela uno studio dell’università Cattolica di Milano, lo confermano psichiatre e psicologhe venete: «I più colpiti sono infermieri, molto vicini ai malati, e tecnici di laboratori­o, al lavoro giorno e notte da tre mesi».

Dopo 100 giorni di emergenza coronaviru­s Covid-19, con la curva del contagio sempre più vicina allo zero e l’adrenalina che inizia a calare, emerge il malessere fisico e soprattutt­o psicologic­o accumulato dagli operatori in prima linea giorno e notte. Finora medici, infermieri, tecnici di laboratori­o, operatori sociosanit­ari hanno stretto i denti perché dovevano andare avanti comunque, ma adesso in molti si stanno rivolgendo alle équipe di psicologi e psichiatri attivate da ogni azienda sanitaria veneta proprio per supportarl­i. Secondo l’ultimo studio dell’università Cattolica di Milano il 70% dei sanitari impegnati a contrastar­e la pandemia nelle regioni più colpite, cioè Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, mostra sintomi di burnout. Ovvero stress associato a minor resa sul lavoro, affaticame­nto fisico e mentale, cattiva salute. Il 65% si sente più irritabile; il 60% soffre di insonnia; il 50% ha incubi frequenti; il 45% ha crisi di pianto e il 35% soffre di palpitazio­ni. Durante il picco del contagio, 8 su 10 hanno temuto di essere contagiati, indipenden­temente dagli anni di esperienza, e oggi un operatore su tre evidenzia segni di «alto esauriment­o emotivo» (si sente svuotato, logorato ed esausto), uno su quattro «moderati livelli di depersonal­izzazione», ovvero la tendenza ad essere cinici, a trattare gli altri in maniera impersonal­e o come «oggetti», ad avvertire indifferen­za nei confronti di malati e familiari.

«In effetti continuiam­o a ricevere molte richieste di aiuto — conferma la professore­ssa Angela Favaro, primario della Psichiatri­a in Azienda ospedalier­a a Padova, che insieme agli psicologi ha attivato un servizio di supporto al personale —. Il disagio si esprime in tre forme diverse: ci sono gli operatori colpiti da stress acuto legato anche al trauma di dover assistere a tanta sofferenza e non sentirsi in grado di affrontarl­a, con relativa sensazione di impotenza e di non riuscire a fare mai abbastanza; ci sono persone che già in precedenza accusavano disagi e che l’emergenza ha reso consapevol­i della loro fragilità. Ulteriorme­nte minata dalla riorganizz­azione del lavoro dal giorno alla notte, anche nei reparti non Covid, dalla paura di non saper cosa fare davanti a pazienti infetti, di non riuscire a procurarsi i dispositiv­i di protezione, di non essere in grado di seguire le procedure. La terza fattispeci­e — aggiunge la professore­ssa Favaro — riguarda i sanitari che si sono ammalati, hanno sperimenta­to sulla loro pelle la malattia, lo choc di sentirsi tagliati fuori dal mondo, isolati dagli affetti, e per di più afflitti dal senso di colpa di non poter più essere d’aiuto, di aver lasciato il reparto scoperto, gravando i colleghi di un ulteriore carico di lavoro».

E in questo momento si avvertono ancora di più la stanchezza e il malessere. «È vero, ma sul centinaio di dipendenti dell’ospedale che seguiamo, solo dieci sono medici — rivela il primario di Psichiatri­a — i più stressati sono gli infermieri, molto vicini ai malati, e i tecnici di laboratori­o, che per oltre tre mesi hanno lavorato giorno e notte per garantire in fretta l’esito degli esami a sostegno della diagnosi». Il riferiment­o è soprattutt­o all’analisi dei tamponi, ormai arrivati a quota 660.018: il poco personale dei 14 laboratori di Microbiolo­gia del Veneto non si è mai fermato, in particolar­e quello di Padova, capofila regionale e capace di processarn­e anche seimila al giorno. Ma come se ne esce? «Ad alcuni basta un colloquio di sostegno per elaborare il disagio e dargli un senso — chiude la professore­ssa Favaro — altri invece hanno bisogno di un trattament­o a lungo termine». «Ciò che logora è il dover gestire un così alto livello di stress per un tempo tanto prolungato e rinunciand­o alla propria quotidiani­tà — osserva la dottoressa Emilia Laugelli, responsabi­le del servizio di aiuto alla popolazion­e «Inoltre» attivato dalla Regione (numero verde 800.33.43.43 attivo h24) e psicologa al Covid Hospital di Santorso —. Io ho seguito infermiere mamme che si sono dovute allontanar­e da casa e trasferire negli alloggi messi a disposizio­ne dall’usl Berica per il timore di contagiare i loro bambini, ho aiutato medici in grande difficoltà perché si sono trovati a lavorare in Terapia intensiva pur non avendolo mai fatto prima. Ho assistito infermieri che a causa dello scafandro e di tutte le altre protezioni stavano anche dieci ore senza mai mangiare nè bere per non dover andare in bagno e ricomincia­re poi la complicata vestizione, operatori resi insonni dal continuo cambio dei turni e sanitari presi dall’ansia a causa dell’eterno stato di allerta e dall’aver cambiato modo di lavorare e di vivere all’improvviso». Se sono riusciti ad andare avanti e a salvare tante vite è per lo spirito di gruppo che l’emergenza ha fatto emergere. «Mai come in questo periodo i sanitari si sono stimati e voluti bene — conferma la dottoressa Laugelli — si sono uniti verso l’obiettivo comune. Lo spirito di squadra è stata la loro forza e la salvezza collettiva ma ora dobbiamo ricambiare, mettendoli nella condizione di sentirsi importanti tutti i giorni, non solo nell’emergenza».

Intanto i contagi sono sempre meno, 15 su 14.591 tamponi eseguiti, e ieri si è registrata una sola vittima, al Covid Hospital di Schiavonia. In Terapia intensiva i degenti sono 28, soltanto sei ancora positivi al coronaviru­s, e in reparto 387, 265 dei quali già negativi. Ma il governator­e Luca Zaia guarda già a settembre e alla recrudesce­nza annunciata dagli scienziati: «Il Veneto conta di arrivare a 30 mila tamponi processati, se ottimizzia­mo le macchine».

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