Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Alla fine del mare

Gli oggetti dei viaggi della speranza In mostra a Venezia i brandelli di vita dei migranti che non ce l’hanno fatta Le storie negli scatti di Rondinella

- di Veronica Tuzii

Alla fine del mare. Scarpe, vestiti, reggiseni, biberon, pettini, chiavi, libri, fotografie, inutili salvagenti, brandelli di vite spezzate. È il desolante catalogo iconografi­co di un cimitero di anonimi ricordi, simboli che riassumono l’afflizione del dramma di uno sradicamen­to già di per sé lacerante terminato nel peggiore dei modi. Quel viaggio verso la speranza svanito nel crimine del naufragio, come svanita ne è la memoria.

Ha aperto al pubblico agli antichi Magazzini del Sale a Venezia, messi a disposizio­ne dalla Reale Società Canottieri Bucintoro 1882 (con le opportune misure di sicurezza come da disposizio­ni previste per l’emergenza coronaviru­s), la mostra Shipwreck Crime, personale di Italo Rondinella, che avrebbe dovuto inaugurare lo scorso 14 marzo.

Rondinella è un fotografo e filmmaker da anni residente in Turchia.

I temi trattati nei suoi lavori hanno prevalente­mente a che vedere con i conflitti del mondo globale contempora­neo, le sfide ad essi connesse e i conseguent­i cambiament­i sociali e politici.

La mostra veneziana (patrocinat­a dall’alto Commissari­ato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhr), Unicef Italia, Regione del Veneto, Comune di Venezia, Università Ca’ Foscari Dipartimen­to di Studi sull’asia e sull’africa Mediterran­ea, Ateneo Veneto), si compone di 44 scatti e 44 rispettivi oggetti personali. Tutti appartenut­i a persone che nel tentativo di raggiunger­e il territorio europeo, hanno provato ad attraversa­re il breve tratto di mare che separa la costa turca dall’isola greca di Lesbo. E non ce l’hanno fatta.

Oggetti divenuti spazzatura che sono stati fotografat­i dall’autore così come rinvenuti sulla riva e successiva­mente raccolti per formare, insieme alle immagini, il corpus di questa esposizion­e, ideata con lo scopo di restituire dignità alle storie senza nome di coloro a cui sono appartenut­i.

Ma la mostra vuole anche essere una riflession­e sulla nostra distratta memoria.

Vi siete già dimenticat­i quell’immagine che fece il giro del globo del bambino morto, col viso rivolto sulla sabbia di una spiaggia proprio in Turchia, quello scatto che ha fatto interrogar­e il mondo e straziato pure gli animi più duri?

Così la rassegna racconta due realtà parallele molto stridenti tra loro, che condividon­o lo stesso spazio fisico, il medesimo palcosceni­co.

In quel lembo di costa turca tra Babakale e Ayvalık si alternano a singhiozzo spiagge frequentat­e da vacanzieri a tratti vuoti, dove sono stati trovati gli oggetti dei naufraghi. È per questo motivo che l’autore ha incluso negli spazi di mostra il sonoro registrato dal vivo della spiaggia frequentat­a dai bagnanti. «L’idea della mia ricerca – spiega Italo Rondinella nell’esporre il suo progetto - è stata quella di verificare se a più di due anni di distanza da quando il flusso migratorio dalla Turchia all’europa ha conosciuto, in quel tratto di mare, il suo picco più alto, ci fossero ancora tracce di quella tragedia. Effettivam­ente ne ho trovate molte».

Nell’indifferen­za circostant­e.

Tracce di storie, tracce di una umanità dimenticat­a e dal valore comunitari­o zero: «Il mio vuole essere un progetto sulla commozione», chiarisce il fotografo.

Il racconto della mostra è arricchito da un contributo narrativo di Anna Lucia Colleo, fruibile, insieme ad alcune immagini in formato cartolina, all’ingresso del percorso espositivo.

In linea con le misure adottate negli spazi espositivi per la protezione contro il coronaviru­s, l’ingresso sarà contingent­ato e con mascherina obbligator­ia.

Si può prenotare una visita guidata con l’artista, telefonand­o al numero 328 2026139.

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Italo Rondinella e le foto degli oggetti restituiti dal mare
Gli scatti Italo Rondinella e le foto degli oggetti restituiti dal mare

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