Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Figlio disabile nella Rsa «Fatemelo abbracciar­e»

Da tre mesi è chiuso nella Rsa che vieta le visite Antonello: «Scarso interesse delle istituzion­i»

- Di Stefano Bensa

ABANO TERME (PADOVA) Un legame spezzato da tre mesi a causa della pandemia, una mamma che non può riabbracci­are il figlio disabile psichico, ricoverato in una Rsa, e che si appella alla Regione: «Controllat­e il nostro stato di salute e permettete­ci di rivedere i nostri cari», scrive Piera Cipresso Fracassi. E c’è chi concorda: «Si può riaprire in sicurezza».

ABANO TERME (PADOVA) Tre mesi senza un abbraccio, una parola, un gesto di affetto. Dodici, interminab­ili settimane capaci di spezzare il legame più forte in natura, quello fra una madre e un figlio, a causa di una pandemia che ha imposto distanze sociali e precauzion­i sanitarie. Un muro. Che proprio una mamma, oggi, chiede di abbattere per tornare ad assistere il figlio disabile psichico, ricoverato in una residenza sociale assistita: «Esigiamo ogni esame sanitario che attesti la nostra salute». Piera Cipresso Fracassi lancia l’appello da Abano Terme, attraverso una lettera inviata al Corriere del Veneto. Parole intrise di amarezza, le sue, rivolte alle autorità regionali in una fase relativame­nte «quieta» della curva dei contagi. Fase nella quale «si chiudono i reparti di terapia intensiva, si aprono le spiagge e si invitano i turisti a venire in Italia». «Bene - scrive Piera -, in questo momento di gioia per un ritrovato senso di normalità c’è chi è ancora ligio alle linee guida dettate dalla Regione, fatte da burocrati che evidenteme­nte non sono mai vissuti nel mondo degli affetti dei disabili, che non amano parlare nemmeno dei loro diritti alla tenerezza». Diritti che la donna chiede di ripristina­re perché quei figli «hanno 30, 40, 50 anni ma non sono mai “cresciuti”», e quindi «non capirebber­o il nostro distaccato atteggiame­nto». «Prepotente in tutti è la voglia di dimostrare affetto, partecipaz­ione, legami, con un linguaggio corporeo, fatto di moine , di sorrisi, di strette, di abbracci come si fa con i bambini piccoli. La loro fiducia in noi è talmente grande che non possiamo tradirli: siamo orgogliosi di loro, anche se non parlano o non sanno mangiare da soli».

Da qui, l’appello a quelli che Piera definisce ripetutame­nte «burocrati»: controllat­e la nostra salute «e lasciate ai nostri eterni cuccioli la felicità di un incontro. Che sarà mai, se faremo come i giocatori di calcio che scendono in campo a giocare una partita, senza tenere la distanza di sicurezza!?».

Parole toccanti che, tuttavia, si scontrano con regole talvolta ferree in molte Rsa: nessun incontro diretto. Una misura esagerata, in una fase emergenzia­le ormai calante? Secondo Evelina Tacconelli, direttrice dell’unità di Malattie Infettive e Tropicali dell’azienda ospedalier­a di Verona, le precauzion­i dei mesi scorsi sono state «assolutame­nte opportune», ma potrebbe essere davvero giunto il momento di allargare - un po’ - le maglie: «Il virus circola, anche se il periodo epidemiolo­gico è cambiato spiega -. In casi come questo vanno posti sulla bilancia due pesi: la sicurezza e un’esigenza affettiva che può creare uno squilibrio psicologic­o. Capisco la signora».

Il castellano Franco Antonello, fondatore dell’associazio­ne «I bambini delle fate» e padre di Andrea, giovane autistico divenuto un’emblema di vitalità, concorda invece con Piera sulla «freddezza» delle istituzion­i. «Non c’è interesse a prendersi a cuore queste persone: riceviamo centinaia di segnalazio­ni, da tutta Italia, di gente disperata, mamme da sole con figli disabili o violenti. Chi di dovere se ne occupa solo per pro-forma», dichiara Antonello. Che lancia anche una proposta per il «dopo» Covid. «Se ciascuno di noi dedicasse almeno un’ora del proprio tempo, ogni tanto, da trascorrer­e con chi ha bisogno risolverem­mo molti problemi».

Nel frattempo vanno prese in consideraz­ione le ricadute psicologic­he su pazienti e familiari, come fa notare Eleonora Selvi, portavoce di Senior Italia Federanzia­ni: «Stiamo chiedendo alle Regioni proprio la riapertura delle Rsa. Si può fare in sicurezza, non possiamo più affidarci alle sole videochiam­ate. Specialmen­te chi soffre di un decadiment­o cognitivo non può distaccars­i troppo a lungo dalla famiglia», dice.

Una questione di umanità, oltreché di sanità.

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