Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Operatore pakistano positivo al virus Trecento migranti chiusi in caserma
Giornata di tensione nel Trevigiano, ospiti convinti a fare il tampone e a non uscire in attesa dei risultati
Tensione ieri alla caserma Serena di Treviso. A causa di un operatore positivo, i migranti della Serena, rimasti chiusi in caserma, si sono rifiutati di fare il tampone.
TREVISO Di questo avevano paura: che la caserma in cui vivono da anni si trasformasse in una gabbia ancora più stretta. Che lo spettro del coronavirus, fino a ieri rimasto lontano dal principale hub per rifugiati del Trevigiano, penetrasse quel luogo già così isolato dal resto della città. Quando ieri mattina un gruppo di profughi si è alzato per andare al lavoro trovando i cancelli chiusi a chiave, è scoppiata la rivolta. «Un operatore è positivo al Covid, non potete uscire finché non farete il tampone» hanno avvisato i gestori. È stato come mettere un’altra grata alle finestre: in pochi minuti una trentina di richiedenti asilo ha messo in scena una protesta di grida e rabbia, rifiutando di fare il tampone.
«No tampone – 14 giorni dentro» hanno scritto su un cartello che agitavano nel grande cortile interno dell’ex caserma Serena, al confine fra Treviso e Casier. Sono arrivati carabinieri, questura, polizia locale, i due sindaci, il presidente della Nova Facility (che gestisce la struttura per conto della Prefettura dal 2015) e tanti curiosi.
Da tempo quel luogo non entrava nei racconti di cronaca, ma la tensione accumulata dopo mesi di lockdown evidentemente era troppa. I fatti sono questi: un operatore pakistano, rientrato dieci giorni fa dalla propria terra di origine, aveva la febbre ed è risultato positivo al coronavirus; si è messo in quarantena domenica e a titolo precauzionale anche dieci connazionali ospiti della Serena, che avevano avuto con lui contatti stretti recenti, sono stati isolati all’interno della caserma. I protocolli sanitari prevedono che tutti, sia i colleghi operatori che gli altri ospiti debbano sottoporsi al test. Trenta dei trecento profughi accolti a Treviso, tutti della comunità senegalese, si sono rifiutati di farlo ed è nata la bagarre. Ci è voluta una mattinata a convincerli: la protesta innescata intorno alle dieci si è conclusa prima di pranzo e nel pomeriggio sia i trecento trenta ospiti che i quaranta operatori di Nova Facility hanno fatto il tampone. E ora aspettano.
«Ringrazio l’usl 2 per il grande sforzo, quando avremo i risultati potremo chiarire meglio questa situazione ma al momento nessuno è stato male – spiega il sindaco di Treviso Mario Conte, ieri in presidio fisso alla Serena -. Nessuno è uscito oggi o potrà uscire finché arriveranno i risultati. Ora è fondamentale mantenere la calma, abbassare la tensione che potrebbe crearsi e capire come una persona in arrivo dal Pakistan, attraverso non so quanti aeroporti, non sia stata soggetta a screening. Chiariremo anche con Nova Facility perché forse qualcosa nei controlli non ha funzionato ma è fondamentale che oggi riusciamo a mettere in sicurezza questa struttura come ha fatto per cento giorni la nostra comunità». Poteva essere una miccia pronta ad esplodere ma non è successo niente. «Si era diffusa erroneamente la notizia che un ospite fosse positivo, ma è falso, si tratta di un dipendente della cooperativa – ribadisce Conte -. I richiedenti asilo gridavano “non siamo noi i contagiati” e volevano uscire. La tensione è nata non per la presenza delle forze dell’ordine, ma per un’informazione sbagliata».
E mentre Fratelli d’italia (rappresentato in consiglio nella maggioranza di Conte) alza i toni dello scontro trasformandolo in una apocalisse e invocando l’espulsione dei profughi in protesta, anche il sindaco di Casier Renzo Carraretto assicura che la situazione è sotto controllo, che la protesta è stata contenuta, che non ci sono stati episodi di violenza o offese, e che tutto sta rientrando nella normalità: «L’operatore contagiato ha avuto contatti molto limitati, aveva i dispositivi di protezione. I profughi si sono preoccupati per i cancelli chiusi, non potevano andare al lavoro, così abbiamo avvisato i datori. La prima cosa da fare è evitare la formazione di focolai, abbiamo dovuto chiudere per tutelare la loro salute, prima di tutto, e quella degli altri. Quando è stato spiegato come avveniva la procedura si sono tranquillizzati».
Per i due sindaci, entrambi leghisti, non è stato facile tornare davanti a un luogo che in passato ha sollevato polemiche ben più gravi, più dure e proteste più forti. Una caserma contestata fin dal giorno della sua apertura. Ora i numeri sono lontani dagli ottocento ospiti del 2016, quando l’immigrazione era fenomeno vasto ed emergenziale; gli ospiti sono per la gran parte in attesa di ricorso per l’asilo politico; alcuni lavorano come stagionali nei campi. Dopo l’esito dei tamponi potranno riprendere quella mezza normalità a cui sono abituati.
Conte
Ora è cruciale mantenere la calma e abbassare la tensione
Carraretto
La protesta è stata contenuta, non ci sono stati episodi di violenza