Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Casalesi, solo una vittima al processo
Il processo parte con la protesta degli avvocati: «Pochi microfoni, tanta gente: rischio Covid»
VENEZIA Più di quaranta parti offese, imprenditori minacciati, curatori di aziende ormai fallite, ma solo una presente ieri al maxi-processo (46 imputati) ai Casalesi di Eraclea: l’imprenditore Ludovico Pasqual.
VENEZIA Il presidente del collegio giudicante Stefano Manduzio li ha letti uno dietro l’altro, ininterrottamente: ma nessuna di quelle oltre quaranta parti offese individuate alla Dda di Venezia – imprenditori minacciati o i loro eredi, ma anche curatori giudiziari di aziende ormai fallite – ha risposto. E così il «vero» maxi-processo al clan casalese di Eraclea che secondo i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini avrebbe spadroneggiato per anni sul litorale sotto il comando del boss Luciano Donadio, si è aperto ieri con una sola nuova parte civile «fisica», l’imprenditore Ludovico Pasqual; al suo fianco gli enti (Presidenza del Consiglio, Regione Veneto, Città Metropolitana di Venezia e Comune di Eraclea: questi ultimi due hanno quantificato i danni in 250 e 500 mila euro, rispettivamente), i sindacati Cgil (chiede 420 mila euro) e Cisl, l’associazione Libera, la Palladio Leasing e l’unica altra persona già costituita, quel Fabio Gaiatto condannato a 15 anni per la truffa del Forex, vittima però di un’estorsione particolare: tra i suoi falsi investimenti ci sarebbero stati anche una decina di milioni «sospetti», reclamati dallo stesso Donadio.
Un fatto che non sorprende. In tanti dei processi recenti sui fenomeni mafiosi in Veneto le vittime hanno deciso di non presentarsi in aula, spesso perché ancora impaurite. Pasqual, invece, ha deciso di rivolgersi all’avvocato Augusto Palese per chiedere giustizia, lui che era stato taglieggiato da Donadio, i suoi bracci destri Raffaele Buonanno e Antonio Pacifico e Francesco Verde: spinto dalle minacce («ti do fuoco con tutta la macchina», gli avevano detto), l’uomo avrebbe pagato 28 mila euro in varie tranche e regalato un appartamento da 140 mila euro e poi è fallito.
Il processo che si è aperto ieri in aula bunker conta ben 46 imputati, di cui 16 ancora detenuti e collegati dai carceri di tutta Italia in videoconferenza. In corso c’è anche un altro troncone, con i 26 imputati che hanno invece scelto il rito abbreviato di fronte al gup Michela Rizzi. In aula, tra i due pm, i collaboratori, gli avvocati e i praticanti, il collegio di giudici e i magistrati tirocinanti e i non detenuti (tra cui anche l’ex sindaco Mirco Mestre, accusato di voto di scambio, che ha preso appunti in continuazione), c’erano circa un centinaio di persone, tutti con la mascherina e distanziati. L’argomento Covid è stato però oggetto di una composta protesta degli avvocati, nonostante il presidente del tribunale di Venezia Salvatore Laganà avesse messo a disposizione l’aula più grande del bunker. «Parlo anche come presidente della Camera penale veneziana - ha esordito l’avvocato Renzo Fogliata Tutti vogliamo che i processi si celebrino, ma le postazioni, i microfoni, il distanziamento sociale in quest’aula sono un punto critico». I microfoni, così come i telefoni per parlare con i detenuti, sono appena una dozzina. «La distanza da questo collega è inferiore a un metro - ha detto l’avvocato Emanuele Fragasso rivolto a chi gli stava in fianco - Devo fidarmi a usare questo microfono, non sapendo se può trasmettere la malattia. Ci sono poche finestre aperte e scarsa circolazione dell’aria». In aula per mesi sfileranno centinaia di testimoni: basti pensare che sono già state fissate 28 udienze fino a fine anno e c’è voluta oltre un’ora solo per fare l’appello di tutte le parti.
L’udienza di ieri si è concentrata sulle prime eccezioni, su cui i giudici si esprimeranno lunedì. Le difese dei detenuti, capitanate dai legali di Donadio, Renato Alberini e Giancarlo Gentilini, e da quello di Buonanno, Giuseppe Brollo, hanno chiesto di poter avere i clienti al proprio fianco. «La legge impone la videoconferenza salvo attività specifiche - ha replicato il pm Terzo - Il Dap, anche dopo due mie ferme telefonate, aveva acconsentito ad avvicinare i quattro detenuti nelle isole (tra cui Donadio, ndr), per consentire un miglior esercizio del diritto di difesa, ma poi è arrivato il Covid».
Ma lo scontro è stato soprattutto sulle parti civili. Molte difese hanno contestato l’ammissione di sindacati e Libera. «Siamo nati nel 1992 dopo le stragi - ha replicato l’avvocato Marco Lombardo la guerra alle mafie è centrale per la nostra associazione». Lo stesso pm Baccaglini ha poi ricordato come un punto centrale dell’inchiesta riguardi il caporalato e dunque si riferisca a interessi tutelati dal sindacato. L’avvocato Fragasso per conto di Mestre ha poi sollevato un’eccezione che, se accolta, sarebbe clamorosa: ovvero che nella delibera del commissario di Eraclea che ha portato alla costituzione di parte civile sarebbe indicato solo l’articolo 416 bis del codice (associazione mafiosa) e non il ter contestato all’ex sindaco, al quale non potrebbero dunque chiedere i danni. «Il commissario si è costituito per tutti i reati - ha replicato però l’avvocato Giuseppe Chiaia - La Costituzione sottolinea la centralità del Comune, che è l’ente che risulta maggiormente leso dalle condotte di questo processo».