Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Batterio in dodici neonati Maternità chiusa a Verona
Verona, decisione drastica dell’azienda ospedaliera. «Disinfettiamo tutto»
Hanno deciso di «chiudere tutto». La terapia intensiva neonatale, anche quella pediatrica, pur se non direttamente interessata, di cambiare quasi tutto il personale a eccezione dei dirigenti medici, e di spostare i reparti in un altro edificio. Una decisione drastica, «draconiana», come l’ha definita il direttore generale dell’azienda ospedaliera di Verona, Francesco Cobello. L’impatto maggiore, almeno per il grosso degli utenti, ce l’avrà la chiusura, a tempo indeterminato, del punto nascite, che è il più grande del Veneto, con una media di dieci parti al giorno: per un po’, non si sa fino a quanto, non si nascerà più a Verona. I genitori in attesa del lieto evento sono stati avvisati ieri mattina e saranno dirottati negli ospedali vicini, chi a Negrar, chi a Villafranca, chi a San Bonifacio.
Un tentativo estremo per sradicare quell’«ospite indesiderato» che da quasi due anni compare a intermittenza negli esami dei neonati, causando anche infezioni e, almeno in un caso, un decesso: il citrobacter. «Un batterio solitamente innocuo - così lo descrive Massimo Franchi, direttore dell’ostetricia e ginecologia dell’azienda ospedaliera - che si trova normalmente nel corpo di persone sane ma che, in determinate circostanze e su soggetti più esposti, può causare infezioni anche gravi». Si tratta in particolare di encefaliti e di meningiti. Il caso più eclatante, emerso lo scorso anno, è quello di Nina, nata l’11 aprile del 2019 e morta il 18 novembre dopo una grave forma di encefalite che le aveva causato danni irreversibili al cervello. Che la responsabilità fosse del batterio era noto da tempo, e in questi giorni lo hanno confermato due diverse perizie, le quali aggiungono che l’infezione da citrobacter è avvenuta in terapia intensiva neonatale.
Ufficialmente, quello di Nina è l’unico caso che ha portato al decesso, ma ci sono altre morti sospette su cui sta indagando l’azienda ospedaliera, incalzata, in queste ore, anche da altri genitori.
Questo il contesto che ieri ha portato a una decisione «unica in Italia», come ha sottolineato lo stesso Cobello. «Ufficialmente, il trend dei casi era in calo - spiega il dg ma abbiamo avuto dodici casi in contemporanea, di cui uno ha sviluppato un’infezione. E dato che il problema continua a ripresentarsi nonostante i reiterati tentativi di debellarlo, abbiamo deciso di provare il tutto per tutto».
Già nelle prossime ore i locali delle terapie intensive neonatali e pediatriche, che si trovano nei seminterrati dell’ospedale della Donna e del Bambino, verranno chiusi, per essere spostati a partire da domenica nel corpo centrale (che già aveva ospitato, temporaneamente il punto nascite e, più recentemente, un reparto allestito per l’emergenza Covid, ora sanificato). Ci sarà una rotazione completa di quanti ci lavorano normalmente, una cinquantina tra infermieri e altri operatori, che verranno destinati altrove. I piccoli pazienti delle terapie intensive già presenti saranno trattati fino a dimissioni. Poi si andrà giù con la mano pesante. «Non si arriverà forse ad abbattere l’intonaco, ma useremo tutti i mezzi necessari, anche la disinfezione con il cloro».
Per assicurare una maggiore trasparenza è stata nominata una commissione di esterni (Massimo Bellettato, pediatria di Vicenza, Claudio Scarparo, microbiologia di Venezia ed Elena Narne, dell’azienda Zero). Le cause rimangono un mistero, nonostante gli approfonditi controlli «su tutti quelli che hanno a che fare con i reparti».la notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Ma per Francesca Frezza, madre di Nina, che da un anno denuncia il rischio «non è un caso: ci sono molti genitori preoccupati e almeno due famiglie hanno avuto dei lutti: a molti genitori non sono state date risposte».