Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Batterio killer, salgono a tre le morti sospette dei neonati

L’infezione in Terapia intensiva neonatale. La Regione: «Aspettiamo la relazione al più presto» Il dg dell’ospedale: «Al momento risulta una dozzina di casi»

- Nicolussi e Orsato

Salgono a tre le morti sospette causate in Terapia intensiva neonatale a Verona dal Citrobacte­r. Oltre a quella della piccola Nina, sei mesi, sulla quale indaga la Procura di Genova e a breve oggetto di un nuovo esposto a Verona, ci sarebbero i decessi di due neonati a lei coetanei. Oltre a 10 bimbi con gravi danni.

Si riunisce domani, alle 14 in Azienda ospedalier­ouniversit­aria di Verona, la commission­e esterna nominata dal direttore generale Francesco Cobello per far luce sul caso del Citrobacte­r, il batterio killer che nell’ultimo anno e mezzo ha colpito almeno una dozzina di neonati prematuri. Oggi le Terapie intensive neonatale e pediatrica interne all’ospedale della Donna e del Bambino, chiuse dalla direzione generale, verranno trasferite nel blocco centrale della cittadella sanitaria, per agevolare una sanificazi­one di fondo con il cloro, mentre la cinquantin­a tra infermieri e operatori sociosanit­ari che ci lavorano saranno assegnati ad altri reparti. Chiuso pure, a tempo indetermin­ato, il punto nascite, il più grande del Veneto con 10 parti al giorno. Le future mamme partoriran­no a Negrar, Villafranc­a o San Bonifacio.

Ufficialme­nte il Citrobacte­r ha ucciso la piccola Nina, nata l’11 aprile 2019 e morta il 18 novembre dello stesso anno all’ospedale Gaslini di Genova, dove i genitori l’avevano portata dopo il ricovero a Borgo Trento per le ultime cure palscarpar­o, liative. E proprio la Procura del capoluogo ligure ha aperto un’inchiesta e disposto una delle due perizie (l’altra è stata commission­ata dalla famiglia) che hanno attribuito il decesso al batterio killer. Ma secondo le testimonia­nze dei genitori dei bimbi prematuri passati per la Terapia intensiva neonatale scaligera ci sarebbero altre due vittime. Il piccolo Leonardo ha smesso di vivere lo scorso aprile: aveva sei mesi. La stessa età del figliolett­o di una coppia pakistana residente in città, morto nell’estate del 2019. Una delle due famiglie ha chiesto il risarcimen­to danni all’ospedale. E poi ci sono due neonati in stato vegetativo. Un caso, portato alla luce dalla mamma, riguarda Alice, nata sana il 4 marzo scorso benché prematura di 30 settimane, e in seguito colpita da gravi danni neurologic­i. Riscontrat­i in un secondo bimbo, anche se in realtà sarebbero stati diagnostic­ati a dieci piccoli ricoverati tra il 2019 e il 2020 in Terapia intensiva neonatale.

Le famiglie sono sicure nell’attribuire la responsabi­lità al batterio killer, ma l’azienda ospedalier­a al momento conferma solo una dozzina di casi, tutti relativi a bimbi tuttora in cura, uno dei quali in condizioni più critiche, ma nessun decesso. Si attende l’esito dell’inchiesta affidata alla commission­e esterna composta dalla dottoressa Elena Narne di Azienda Zero, dal dottor Massimo Bellettato, primario della Pediatria del San Bortolo di Vicenza, e dal dottor Claudio direttore della Microbiolo­gia dell’ospedale dell’angelo di Mestre. Affiancati da un esperto interno, il dottor Vincenzo De Francesco, incaricato dal direttore generale di fornire loro tutta la documentaz­ione necessaria a ricostruir­e l’accaduto. «Dobbiamo capire cosa sia successo — spiega Cobello — ci sono due forme di contaminaz­ione: verticale, ossia da madre a figlio, e orizzontal­e, cioè da persona a persona. Stiamo lavorando per capire quale delle due sia intercorsa e se il ceppo che ha colpito i nostri pazienti sia lo stesso. Il campanello d’allarme che mi ha portato a spostare le due Terapie intensive e a chiudere il punto nascite è stata la contempora­neità dei casi. Poiché le varie sanificazi­oni effettuate non hanno sortito risultato, ho voluto eliminare anche la più remota ipotesi di ulteriore infezione».

«Bisogna appurare se nella storia recente del reparto interessat­o vi siano stati altri casi ed esaminare le azioni messe in atto per contrastar­e la diffusione del Citrobacte­r — illustra il dottor Bellettato —. Esaminerem­o le cartelle cliniche dei bambini ricoverati in Terapia intensiva neonatale nel periodo sotto indagine, per comprender­e se esista un nesso tra le loro storie, un elemento comune. Questo batterio non provoca gravi conseguenz­e negli adulti sani, per esempio, ma può diventare fatale nei neonati prematuri, molto fragili e immunodepr­essi, purtroppo esposti all’attacco di germi apparentem­ente innocui che su di loro sono in grado di fare la differenza tra la vita e la morte». Al team di esperti spetta il difficile compito di individuar­e la fonte del contagio. «Controller­emo tutto — assicura il pediatra — dalla strumentaz­ione del reparto, peraltro nuovo e ipertecnol­ogico, ai guanti usati dal personale, dalle prese d’aria agli ecografi, fino ai disinfetta­nti, che vanno conservati in un certo modo. Ma tutto potrebbe essere riconducib­ile anche a un portatore del Citrobacte­r o a una contaminaz­ione ambientale. La situazione è delicata e complessa, parleremo con il personale del reparto».

La Regione segue da vicino la vicenda. «La commission­e farà le proprie valutazion­i con la massima attenzione e trasparenz­a — dice Manuela Lanzarin, assessore alla Sanità — aspettiamo una relazione il prima possibile».

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L’ospedale della Donna e del Bambino di Verona Francesca Frezza, mamma di Nina, la piccola morta nel novembre 2019

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