Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Luca, ricovero record guarisce dopo 86 giorni
In reparto dal 18 marzo al 12 giugno, Arzignano in festa al suo ritorno. Molon, 54 anni, racconta la sua odissea
Un viaggio di 86 giorni in un mare di aria che, però, sembra non voler entrare nei polmoni. Una lotta costante contro il soffocamento, un braccio di ferro teso tra la voglia di vivere e rivedere i propri cari, e la morte per coronavirus. Il ricovero forse più lungo del Veneto è il racconto e la storia recente di Gianluca Molon, 54enne di Arzignano. Entrato in ospedale il 18 marzo dopo una settimana di febbre, ha passato quasi tre mesi in ospedale dove è stato intubato più volte. È tornato a casa solo venerdì, il 12 giugno, e ad accoglierlo con una festa a sorpresa c’erano striscioni, parenti, amici e pure il sindaco Alessia Bevilacqua con l’amministrazione comunale. «Il primo giugno era il nostro anniversario, 24 anni di matrimonio. Gli ho portato una torta e una Cocacola in ospedale, una sorpresa – racconta la moglie Loretta –, è stato così contento. Ha passato da solo, ricoverato, sia il giorno di Pasqua che quello del suo compleanno». Loretta sorride e guarda Gianluca, finalmente tornato con lei ed Enrico, il loro ragazzo, nella casa tra la periferia di Arzignano e le colline. «C’è sempre il sole dopo la tempesta, hai vinto tu» recita uno degli striscioni che gli hanno dato il benvenuto, l’altro giorno. Ma per Gianluca superare la tempesta è stato difficilissimo. Il 54enne, magazziniere nell’industria chimica Corigem di Sarego, spiega di aver «iniziato ad aver febbre il 12 marzo. Non scendeva, sempre 38 o più, e anche la tachipirina non funzionava. Però inizialmente non avevo sintomi respiratori». Sei giorni dopo la moglie lo ha portato al Pronto Soccorso di Arzignano dove una lastra ai polmoni ha evidenziato un inizio di polmonite bilaterale. Ricoverato a Vicenza, per Molon il tampone ha confermato il Covid-19.
«Il 20 marzo ho avuto la prima crisi. Non respiravo più: mi hanno intubato, per sette giorni» prosegue. Purtroppo l’incubo era appena iniziato. Dopo una settimana Molon è stato svegliato dal coma farmacologico. Il tubo nei polmoni è stato sostituito con una maschera meno invasiva. «Ma due giorni dopo ho avuto un’altra ricaduta, fortissima. Mi hanno intubato di nuovo e dei dieci giorni successivi non ricordo nulla. Solo un sogno confuso, io che mi avvicino a tre stelle e mi lascio andare. Credo che in quel momento qualcosa, o qualcuno, mi abbia portato indietro». Di nuovo svegliato, il paziente era migliorato ma «la parte superiore dei polmoni aveva ceduto. Mi hanno fatto una tracheotomia per inserire un tubicino, ho dovuto “reimparare” a respirare». È l’inizio di aprile: Molon è sempre in terapia intensiva, la fase più acuta sembra passata ma il paziente non migliora. L’impossibilità di vedere i propri cari non aiuta e in ospedale muore, sempre per Covid, anche un cugino del 54enne, ricoverato dopo di lui: inizialmente al magazziniere la notizia viene tenuta nascosta, per non accrescere lo stato emotivo. «Ero molto, giù di morale. Mi mancava moltissimo la mia famiglia. Il 24 aprile mi hanno fatto videochiamare mia moglie: penso che la svolta sia avvenuta in quel momento, ho iniziato a recuperare in parametri e funzionalità». Da quel giorno, i medici hanno disposto per il paziente una videochiamata al giorno. E il recupero c’è stato, anche se per la guarigione vera c’è voluto un altro mese e mezzo. «A fine maggio sono stato trasferito all’ospedale di Lonigo per fare fisioterapia. Avevo perso 20 chili, da 83 ero passato a 63. Ringrazio tutto lo staff sanitario – osserva Molon – in particolare quattro “angeli” che mi hanno insegnato di nuovo a camminare: Marcello, Dario, Moreno e Piera». L’odissea in ospedale è finita venerdì. «È impossibile descrivere quello che passa un malato di Covid - conclude - semplicemente, solo chi l’ha vissuto può capire davvero».
La crisi
A fine marzo ho avuto la seconda crisi, dieci giorni di cui non ricordo nulla
La svolta
Il 24 aprile mi hanno fatto chiamare mia moglie: è stata la svolta