Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Caso Tiveron, spunta un altro medico imputato
Autopsia per depistare, il pm chiede il processo per Montisci e un dottore del Pronto soccorso
Falso e truffa. A sorpresa, si apprende che sono due gli imputati per il presunto depistaggio relativo alla morte di Cesare Tiveron, pensionato investito e ucciso il 13 settembre del 2016 dall’auto blu del segretario generale della Sanità della Regione Veneto, Domenico Mantoan. Il pm Sergio Dini ha chiesto il processo per Massimo Montisci, ex direttore di medicina legale di Padova, che attribuì la morte di Tiveron a un infarto; ma vuole e questo non lo si sapeva - anche il rinvio a giudizio del dottor Giacomo Miazzo, medico del 118 che quel giorno classificò il soccorso di Tiveron come un «malore». Il pensionato fu intubato sul posto e sottoposto a massaggio cardiaco, inoltre gli furono somministrate almeno tre fiale di adrenalina. L’uomo, 73 anni, arrivò in ospedale alle 12.40 circa, e morì poco dopo.
L’incidente avvenne davanti allo Iov in via Gattamelata. Angelo Faccini, autista di Verona, con Mantoan seduto al suo fianco, operò un’inversione a U non consentita. Tiveron in scooter si trovò la Fiat Bravo davanti e non potè evitare l’auto. Montisci non era di turno quel giorno come medico legale per conto della procura. Eppure, quando il pm chiese un accertamento, fu lui a presentarsi. Nell’autopsia, depositata peraltro con grave ritardo, il professore scrisse che Tiveron era morto d’infarto qualche frazione di secondo prima dello schianto. Una settimana prima di firmare la perizia, peraltro, era stato promosso.
La prima smentita venne dalla perizia cinematica firmata dall’esperto Pellegrino Prozzo, che descrisse frenata e velocità dell’impatto. Tiveron era vivo quando sbattè contro l’auto. La procura non credette quindi a Montisci e mandò davanti al giudice l’autista per omicidio stradale. Si apriva così un altro fronte e l’ex procuratore capo Matteo Stuccilli con la procuratrice aggiunta Valeria Sanzari disponevano nuovi accertamenti sull’attendibilità dell’autopsia. Il fascicolo poi arrivava sul tavolo del pm Sergio Dini. Altro passaggio fondamentale, un incidente probatorio disposto dal gip Elena Lazzarin: cinque luminari analizzavano il rapporto medico legale di Montisci e giungevano a una sola conclusione, e cioé che l’ipotesi di infarto era totalmente infondata. Per la procura, quindi, i medici indagati hanno tentato di depistare gli accertamenti che avrebbero messo nei guai l’autista del numero uno della sanità veneta.
La truffa contestata a Montisci, sempre nell’ambito dell’inchiesta sull’autopsia, riguarda gli accertamenti scientifici su campioni di tessuti e sangue. La procura ne pagò 44, mentre ne sono furono eseguiti solo 18. Ancora da chiarire la vicenda del pacemaker di Tiveron, sottratto alla vittima e ritrovato anni dopo nei cassetti di Montisci.
Ipotesi falso L’intervento per l’anziano investito fu registrato dal 118 come un «malore»