Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’ASSURDO DIBATTITO CON LA UE
Condizionalità. Una delle parole che siamo stati costretti a imparare in corso di epidemia da coronavirus. Come lockdown, distanziamento sociale, pandemia, rime buccali, etc; per non parlare di Mes, recovery plan, fondo next-generationeu. Condizionalità, parola pervicacemente usata, in negativo, da Salvini, dalla Meloni, ma anche dai Cinque stelle, per evocare catastrofiche «sottomissioni» del nostro Paese all’ue che deriverebbero dall’accesso ai prestiti europei secondo le regole del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità). Condizionalità, parola che andrebbe invece associata, in positivo, al contributo europeo alla definizione di quel piano di rilancio post covid-19 che dovrebbe nei prossimi 6/7 anni –ultima chiamata per l’imbarco-aiutare l’italia a riagganciare il trend di crescita e sviluppo dell’unione, quello perso per il declino di produttività che ci siamo autoinflitti da decenni. Siamo nell’assurda condizione di continuare a discutere di una condizionalità negativa che non c’è invece di prepararci a sfruttare la condizionalità positiva da negoziare con l’ue a partire dal «piano nazionale di riforma» che dovremo presentare a Bruxelles dalla metà del prossimo settembre.
Da quando, lo scorso maggio, il Mes ha creato la nuova linea di credito di «Supporto alla crisi pandemica», da erogare a tassi vantaggiosi «alla sola condizione che vengano usati per il finanziamento di spese sanitarie di cura o prevenzione, dirette o indirette dovute al covid-19», i fantasmi della cura alla greca dei nostri conti pubblici, di una espropriazione di sovranità affidata ad una troika di burocrati e banchieri, non hanno più ragione di farsi temere. Lo ripetono continuamente i commissari europei: buon ultimo il vicepresidente Dombrovskis nella sua intervista al Corriere della Sera del 4 luglio scorso. Esiste invece la possibilità di usare subito oltre una trentina di miliardi di euro per sistemare la nostra sanità, per adattare le nostre scuole, e molto altro ancora. Come sanno i presidenti di regione che sognano i 36 miliardi del possibile incremento del fondo sanitario nazionale (oltre 3 miliardi per il solo Veneto). L’irresponsabile discussione sul Mes ha l’ulteriore gravissima colpa di distogliere governo, parlamento, forze economiche, sociali e civili dal concentrarsi, invece, sulle caratteristiche del piano di rilancio che né gli Stati generali di Conte hanno aiutato, né le preoccupazioni per la gravità della situazione economica attuale aiutano, a definire. La discussione in corso sulle forme di rilancio della domanda globale via consumi, riducendo le tasse o aumentando i sussidi, o via piccoli investimenti pubblici finanziati dall’elicottero, rischia di allontanarci da decisioni che ci facciano almeno intravedere l’italia di domani. Quella capace di sfruttare la rivoluzione tecnologica che esalta l’interazione digitale, di accelerare la transizione verso un’economia più sostenibile e di puntare a coinvolgere più ampi strati sociali nella nuova normalità. Per «fortuna» l’unione europea ci ha già avvertito che i finanziamenti da Next generation EU fund saranno riservati a progetti capaci di contribuire alla crescita nel medio-periodo e coerenti con i suoi obiettivi «verdi» e «digitali». È questa la condizionalità utile, propria di un rapporto cooperativo tra Unione europea e suoi stati membri. Una condizionalità che esige, per essere messa a frutto, che i progetti che l’italia proporrà si muovano lungo il sentiero stretto, ma virtuoso, di transizione verso una crescita finalmente robusta anche perché verde e digitale. Il cantiere per mettere a frutto questo rapporto fecondo con l’unione va aperto subito; e tenuto al riparo sia da quello, più urgente, del sostegno ad imprese e famiglie nei prossimi mesi che si preannuciano terribili sia dalle riforme strutturali che anche se avviate oggi non potranno dare frutti che negli anni a venire. Non ci è consentito sbagliare l’agenda. Difficilmente ci sarà concessa una ulteriore occasione.