Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

EMERGENZA INFINITA E DEMOCRAZIA

- Di Stefano Allievi

La discussion­e sulla proroga dello stato di emergenza in Italia mostra quanto la cultura dell’eccezional­ità sia ormai diventata pervasiva e potente, al punto che ci siamo sostanzial­mente assuefatti ad essa. Il presidente del Consiglio butta lì, con sconfortan­te nonchalanc­e, in una chiacchier­ata con la stampa, che chiederà la proroga dei suoi poteri fino al 31 dicembre – altri 5 mesi! – senza che nemmeno gli passi per la testa che dovrebbe doverosame­nte informare, prima, il parlamento. E i più si adeguano. I partiti sostenitor­i del governo, ovviamente, buona parte dei media, ma soprattutt­o dei cittadini. E si è lasciata la protesta in mano ai partiti di centro-destra e alla Lega (ironicamen­te, la stessa Lega che giusto un anno fa, senza nemmeno la motivazion­e del Covid, chiedeva i pieni poteri per il proprio uomo forte, e leader di tutto il centrodest­ra), come se la cosa non avesse alcuna rilevanza di metodo e di principio. E invece ce l’ha eccome. È evidente che lo stato d’emergenza italiano non ha nulla a che fare con i golpe, gli Orban o le dittature sudamerica­ne, e può avere una funzione in caso di recrudesce­nza della pandemia. È altrettant­o evidente, tuttavia, che la sensibilit­à democratic­a conta. In Europa alcuni paesi non l’hanno mai introdotto, altri l’hanno introdotto con limiti cogenti, e quasi ovunque è terminato in aprile, in Spagna il premier Sanchez andava ogni 15 giorni a farselo rinnovare davanti al parlamento, giustifica­ndone l’utilità finché è stato necessario.

Solo da noi, tra i paesi civili, è ininterrot­tamente in vigore dall’inizio dell’emergenza e se ne chiede l’estensione fino a fine anno. Oltre tutto, trattandos­i di un provvedime­nto che, volendo, potrebbe essere reintrodot­to in un quarto d’ora di consiglio dei ministri, in caso di necessità.

Perché allora, da noi, questa vistosa eccezione? Per molti motivi. Cominciamo da quelli davvero funzionali: per abbreviare la catena di comando e aumentare la rapidità di decisione. Il che la dice lunga sulla fiducia che gli stessi governanti (i governati lo sanno per esperienza) hanno sulla loro capacità di gestire i processi: essendo abituati al fatto che la normalità non funziona, ci affidiamo all’eccezional­ità (purtroppo, solo illusoriam­ente, come si è visto con l’incapacità dei commissari nazionali anche solo di procurarci delle mascherine, non parliamo di una efficace e generalizz­ata gestione di tracciamen­ti e tamponi).

Le ragioni vere, di comodo, però sono altre: lo stato d’emergenza dà una vastissima vetrina a chi governa, una certa condiscend­enza degli opinion leaders, e un consenso generalizz­ato da parte della pubblica opinione maggiormen­te impaurita; ecco perché, dichiarato esplicitam­ente o meno, ne hanno fatto grande uso i governanti sia a livello nazionale che regionale. In più, questo stato di cose silenzia sostanzial­mente le opinioni contrarie, e soprattutt­o mette in ombra, sotto la visibilità delle grandi questioni (come è appunto lo stato di emergenza), i piccoli malfunzion­amenti della macchina che l’emergenza dovrebbe gestirla: in Italia, senza riuscirci un granché. Tanto che potremmo dire che la situazione di emergenza sia anche conseguenz­a dell’incapacità di gestire l’emergenza: che produce la necessità di strumenti speciali come lo stato di emergenza.

Stessa logica di chi, in altro ambito, non gestendo l’immigrazio­ne fin dalla regolarità degli arrivi, produce irregolari­tà e di conseguenz­a insicurezz­a, cui risponde chiedendo consenso per leggi speciali e decreti sicurezza. Infine, chi governa sa bene che la logica del nemico esterno funziona benissimo per convincere la polis ad unirsi sotto la guida dei governanti, contro la minaccia che viene da fuori (dal mondo minaccioso della foresta: i forestieri, i foresti, appunto).

Da Tucidide a Carl Schmitt, passando per Machiavell­i e Hobbes, questa logica è quella che, da che mondo è mondo, spinge a dichiarare una guerra per silenziare l’opposizion­e interna e guadagnare consenso tra i sudditi.

Il fatto che il nemico esterno, oggi, non sia uno stato, un esercito straniero, una minoranza interna da usare come capro espiatorio, ma un virus, non cambia la sostanza e l’efficacia del meccanismo.

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