Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
La Cisl: «Acc, dalle banche niente prestiti per il rilancio pur se garantiti dallo Stato»
Silenzio sui 12 milioni chiesti. La Cisl: «Così salta il rilancio». La Regione lancia un ultimatum
In Acc i compressori sono già piazzati, le commesse vanno meglio del previsto e gli addetti al lavoro potrebbero aumentare. Ma le banche non prestano i 12,5 milioni chiesti per sostenere la ripresa, pur se garantiti dal Mef. La denuncia è della Cisl.
Acc deve produrre entro la fine dell’anno 1,8 milioni di compressori per frigoriferi, già tutti venduti, ma all’inizio dell’autunno potrebbe non avere i soldi sufficienti per acquistare la materia prima, perché nessuna delle banche della cordata alla quale l’amministrazione straordinaria si è rivolta è disposta a sostenere il piano industriale. In pratica servono poco meno di 12,5 milioni di euro, che sarebbero garantiti al 100% dal ministero dell’economia e delle finanze secondo quanto previsto dall’articolo 55 della «Legge Prodi», ma il tempo sta scadendo e nessun istituto ha ancora detto si. Anzi, piuttosto, qualcuno manda già a dire che sarà no.
Iccrea, Ubi, Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Cassa centrale banca, per nominare le insegne più grosse. E la Cisl regionale lancia l’allarme, anche perché, dato il volume degli ordini, gli straordinari, i pochissimi giorni di ferie accordati ai 305 lavoratori oggi in servizio, altri 50 operai potrebbero uscire anche domani dalla cassa integrazione dovuta all’eredità fallimentare dei cinesi di Wanbao, i precedenti proprietari, e recuperare i loro posti sulle linee.
«Possiamo permetterci, nella difficile situazione economica prodotta dalla pandemia da Covid-19 – si chiedono il segretario generale, Gianfranco Refosco, e il leader della Fim veneta, Massimiliano Nobis di chiudere aziende che invece potrebbero produrre e, magacorneliani ri, aumentare il numero dei propri occupati? È possibile che una miope visione degli istituti di credito faccia saltare il salvataggio di un’impresa industriale dove management, lavoratori e amministrazioni locali stanno facendo, insieme, il miracolo di una ripresa fino a pochi mesi fa impensabile?».
Ragionamento che ha un senso se si lega ad altri precedenti andati diversamente. Come il sostegno dichiarato una settimana fa di Intesa e Unicredit nel salvataggio del marchio emiliano dei salumi Ferrarini (ben nota anche in Veneto per i finanziamenti concessi da Veneto Banca) e, a fine luglio, lo Stato aveva di contribuire a risollevare la griffe della moda e di entrare con 10 milioni nel capitale dell’etichetta mantovana dell’abbigliamento di prestigio.
Sembra insomma, è la percezione, che il made in Italy sia materia nobile sulla quale produrre i massimi sforzi solo quando si tratta di agroalimentare o di moda. Al contrario, l’unica azienda europea produttrice di compressori per sistemi refrigeranti, con clienti che spaziano da Electrolux a Whirlpool, evidentemente non pare essere così rappresentativa delle eccellenze italiane nel mondo. Anche quando l’operazione, come in questo caso, per i finanziatori è priva di rischi, perché garantita da un fondo del ministero dell’economia più che capiente. E tenendo anche a mente che, nell’operazione di salvataggio fra 2013 e 2014, Acc ottenne dalle banche (una cordata fondamentalmente diversa e che comprendeva, allora, anche le ex popolari venete), 13 milioni di euro sempre per un arco di tempo di sei mesi e con la garanzia ministeriale. Quando le cose andarono male, gli istituti ottennero dal Mef il denaro che altrimenti avrebbero perso nell’arco di quattro giorni. Ma questo precedente, a quanto pare, oggi non basta.
«I grandi banchieri e l’abi, mentre predicano la responsabilità sociale degli istituti di credito e sbandierano il loro sostegno alle imprese italiane e ai sistemi economici locali – prosegue la Cisl - stanno invece costruendo le condizioni per far saltare una coraggiosa ed ambiziosa operazione di rilancio manifatturiero. Così operano i manager delle grandi banche, che in questo periodo stanno pure beneficiando di interventi senza precedenti da parte di Bce e governo italiano».
L’appello del sindacato si conclude con un richiamo alla politica veneta, a cominciare dagli esponenti di governo fino alla Regione perché sia esercitata «una forte pressione sugli istituti di credito affinché facciano la loro parte e aprano linee di credito per Acc». Esortazione non caduta nel vuoto, considerando anche che il caso di Mel è da parecchio tempo in evidenza sul tavolo dell’unità di crisi. L’assessore al Lavoro, Elena Donazzan, ha inviato ieri alle banche coinvolte una comunicazione con un ultimatum. Cioè quello di dare una risposta entro il 25 agosto per decidere, in base a quella, quali provvedimenti assumere. E, si rendessero necessarie, si può immaginare saranno misure anche piuttosto tempestive, vista la scadenza del 20 settembre. Arrivare alla scadenza elettorale con una fabbrica da 300 dipendenti che ha ripreso a crescere ma che si riduce al punto di dover fermare gli impianti per non trovare il modo di acquistare materia prima non è politicamente una buona immagine da spendere.