Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
DISFATTA PER LO STATO
Dopo il danno subito lo scorso anno scolastico – terminato malamente da casa, con buchi enormi, di cui studenti e famiglie pagheranno le spese negli anni a venire – la scuola avrebbe dovuto essere la priorità numero uno della ripresa. E invece, a meno di un mese dalla riapertura, abbiamo la riconferma della disfatta dello Stato. L’istruzione, che è uno dei suoi compiti primari, partirà male, solo per alcuni, con diseguaglianze ulteriormente aggravate. Tante discussioni sui banchi monoposto – che peraltro arriveranno in numeri ridotti, solo in alcune scuole, e pure ad anno scolastico già iniziato, costringendo a ripensare la suddivisione degli spazi in corso d’opera – e zero riflessioni sull’essenziale. Si doveva puntare sul «tutti a scuola, a qualunque costo», e ci ritroviamo con un «alcuni a scuola, altri no», senza criterio: chi ha trovato gli spazi e le soluzioni bene, chi non ce l’ha fatta, peggio per lui, o per essere precisi, per gli utenti. Si doveva potenziare la didattica a distanza, migliorando e qualificando l’offerta, e facendo in modo che fosse fruibile da tutti, ma anche su quel versante si è fatto poco o nulla. Il direttore dell’ufficio scolastico padovano dichiara che per almeno il 40% dei ragazzi degli istituti superiori le lezioni a distanza saranno inevitabili: senza previsioni sul ritorno alla normalità.
Sarebbe come se un dirigente d’azienda dichiarasse che quasi metà delle linee di produzione non ripartiranno. Senza che l’amministrazione subisca conseguenze, che ricadranno tutte e interamente sulle famiglie e gli studenti. Certo, non è colpa dei singoli dirigenti, o dei singoli presidi, se non hanno trovato spazi e soluzioni alternative: in assenza di linee guida precise, di input percorribili, di finanziamenti, di collaborazioni a livello locale. Ma è ammissibile che sia così, e basta? E che lo accettiamo? Proviamo a vederla da un altro punto di vista. Quanti corsi obbligatori sono stati organizzati per formare i docenti, in questa estate eccezionale di un anno eccezionale, che avrebbe dovuto prevedere decisioni e investimenti eccezionali? A livello nazionale, regionale e locale, tanto per chiarire che nessuno può dichiararsi innocente? La risposta, purtroppo, è zero, o lì vicino. Quanto tempo dei docenti è stato dedicato alla formazione? Solo quello che i docenti stessi, su base volontaria, hanno deciso di dedicarci, facendo da soli, in base alla propria sensibilità e capacità. Quanto denaro è stato investito sulle tecnologie necessarie, nelle scuole? Assai poco: molto al di sotto del minimo sindacale della decenza. Quanto è stato fatto per fare sì che le famiglie possano sfruttare questa opportunità (computer e tablet per chi non ce li ha, formazione per chi ne ha bisogno, connessione per chi non se la può permettere, soluzioni per i genitori che lavorano)? Anche qui, poco o nulla, sulla base delle iniziative di alcuni, ma senza niente di strutturato, e soprattutto di dimensionalmente adeguato all’entità del problema. In pochi mesi ci siamo indebitati di oltre 100 ulteriori miliardi di euro. Alle scuole, solo le briciole di tutto questo denaro, e meno ancora in termini di intelligenza, innovazione, progettualità, creatività. Il che dà il segno di quanto veramente ci teniamo. E del perché – non avendo alcuna contezza delle vere priorità del paese – meritiamo di pagare il prezzo del nostro fallimento istituzionale. Anche l’anno prossimo, dovranno pensarci le famiglie (le mogli e le madri soprattutto, sulle quali maggiormente è gravato il costo e la responsabilità dei figli a casa). Chi c’è c’è, chi non c’è si arrangi. Che non è solo una dichiarazione d’impotenza. È il peggior messaggio educativo che potevamo trasmettere.