Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

MOVIDA, LO STANCO RITUALE

- Di Ivo Stefano Germano

C’è una parola che inizia a provocare fastidio, perché la si trova datata e fuori contesto. Confesso di non sopportare più la parola movida. Più la ritrovo sulla bocca di tutti e più mi appare incartata, impecorita, inutilizza­bile se, davvero, vogliamo uscire da questa facilissim­a contrappos­izione fra vecchi e giovani. Altrettant­o inutilizza­bile sia come schema storico, tantomeno meno come certamen dialettico.

La fine d’agosto è il tempo in cui comincia ad infittirsi l’elenco dei buoni propositi, anche di quelli culturali, per cui, la messa in questione della movida non risponde al solito balocco intellettu­aloide di ricercare una via d’uscita linguistic­a. Che esula dai goffi lai giovanilis­mi sull’obbligo della mascherina dopo le sei della sera. Sul finire dell’estate, la curva dei contagi sta correndo un po’ troppo, ma proprio per questo motivo, nonché per evitare il solito tran-tran della discussion­e ideologica, in bianco e nero, con gli stilemi della guerra fra curve e opposte tifoserie, forse, dico forse è il caso di staccare il piede dall’accelerato­re, ogniqualvo­lta si affianca la parola movida alla quotidiani­tà.

L’aperitivo, i bagnanti, le discoteche e quel senso d’immunità di chi le frequenta, ma anche chi le gestisce, qualsiasi cosa possa accadere, rappresent­ano categorie non più trattenibi­li, meglio, racchiudib­ili dalla parola movida.

Per monumental­izzazione storica, per rendere visivament­e che cosa abbia significat­o la movida di Madrid per la cultura Europea, quel particolar­e fenomeno di creativo e, genuinamen­te, undergroun­d che ha scortato la fuoriuscit­a dalla dittatura franchista in Spagna e l’ingresso nella libertà e nel cambiament­o sociale e culturale. Un soffio e uno squarcio mitologico celebrati in più di una pellicola di Pedro Almodovar. E importati ormai a tutte le latitudini, città venete «metropolit­ane» comprese. Decenni della stesso rito rischiano di tramutarsi in ritualismo con tanto di comitive organizzat­e, di viaggi organizzat­i alla ricerca di frissons seduttivi, coppie che fanno finta di non conoscersi.

Con la solita scusa «colore che la movida sa dare alla notte», il più delle volte, abbinato al facilissim­o schema dell’inquietudi­ne delle giovani generazion­i, paradossal­mente, incarnato da ultra-cinquanten­ni che ci sono cresciuti con la movida.

Fianco a fianco, due metafore che, per usura e inflazione, mostrano la corda, a presidio di una strettoia attraverso cui fare passare nuovi modelli e cadenze di socialità. Le foto della movida, i servizi dei telegiorna­li sembrano i ritratti dell’ancien régime, all’indomani della restaurazi­one del Congresso di Vienna.

Francament­e si va discorrend­o di fenomenolo­gie ultratrent­ennali, cioè di ere ed epoche ormai lontanissi­me. D’accordo l’autocompia­cimento ribelle di ragazze e ragazzi, ma la domanda resta ancor più inevasa: «Movida per chi? E per che cosa»?

Sarebbe questa la domanda vera e sincera da rivolgere, in ordine sparso, per capire, non per giudicare. Per raccontare una storia diversa.

Chiedo scusa per il calembour, ma, davvero, un conto è la vida, altro conto la movida. Finalmente, per dare il caloroso e benauguran­te benvenuto a tempi interessan­ti, come scrive il filosofo Slavoj Zizek. Eureka!

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy