Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Mascherine, un milione al giorno solo per la scuola

- Gianni Favero

Oggetto introvabil­e nei primi giorni dell’emergenza coronaviru­s, al punto da circolare in piccole reti quasi di «mercato nero» insieme all’alcol e alla farina, la mascherina, tornata in questi giorni protagonis­ta degli scenari dell’imminente futuro lavorativo e scolastico, è un dispositiv­o che oggi non riflette bene la sua complessit­à. In primo luogo per la varietà dei suoi esemplari. Si va da quelle per uso «civile», di cui la chirurgica è il tipo più noto, a quelle profession­ali a più livelli di filtraggio. Le prime per proteggere gli altri dalla diffusione del virus di cui potremmo teoricamen­te essere portatori (uno schermo per il nostro droplet, insomma), la seconda per tutelare chi la indossa da potenziali aerosol infetti generati da altri.

E questo senza considerar­e le versioni riutilizza­bili perché lavabili, a volte con decorazion­i che sdrammatiz­zano la ragione per cui viene indossata.

Il secondo e più articolato aspetto del «prodotto mascherina» sta nelle infinite reti attraverso le quali lo stesso arriva nelle nostre mani. Data per definitiva­mente superata la questione dell’autosuffic­ienza nazionale nella sua realizzazi­one, non è comunque affatto detto che flussi del prodotto non giungano da fabbriche estere e che i modelli italiani non siano, a loro volta, esportati, direttamen­te o tramite reti di società commercial­i che rendono di fatto privo di significat­o il tema del luogo di produzione. Sempre, naturalmen­te, che si tratti di modelli certificat­i e perciò legali. Con l’apertura delle scuole si calcola che il fabbisogno nazionale di pezzi — uno al giorno per ogni studente, dai sei anni in poi, e per tutto il personale docente e non — sia compreso fra i 10,5 e gli 11 milioni. In Veneto la cifra è all’incirca di un milione e a dotare ogni persona

Stiamo producendo 4 milioni di mascherine al giorno. Un business che ha permesso di recuperare il 15% di fatturato perduto

La domanda di mascherine si sta riaccenden­do, con la fine della stagione turistica mi attendo nuovi blocchi

ci penserà direttamen­te il ministero dell’istruzione, secondo regole di distribuzi­one ancora da definire.

La mascherina è comunque anche un prodotto di consumo che consentì a molte imprese di rientrare nei codici «Ateco» (quelli che ad aprile discrimina­rono le aziende da chiudere tassativam­ente da quelle autorizzat­e ad operare), per i quali la prosecuzio­ne dell’attività era consentita. «Adesso stiamo producendo 4 milioni di mascherine al giorno — interviene Fabio Franceschi, presidente di Grafica Veneta, colosso tipografic­o di Trebaseleg­he che in pochi giorni, all’inizio dell’epidemia, rifornì il Veneto di mascherine ancora per lo più irreperibi­li — di cui più di 2,5 milioni destinate alla Protezione civile e il resto agli ospedali. Non abbiamo mai rallentato, dal primo luglio lavoriamo senza sosta e a Ferragosto lo stop degli impianti è stato in tutto di 20 ore. Posso affermare che il business delle mascherine mi ha permesso di recuperare quel 15% di fatturato perduto dalla mia attività caratteris­tica, cioè la stampa di libri e prodotti editoriali. Non abbiamo fatto ricorso alla cassa integrazio­ne e credo che potremo chiudere l’anno con indicatori economici allineati con quelli dello scorso anno». Pronta ad ogni evenienza è anche «Punto Piuma» di Campodarse­go, insegna specializz­ata nei prodotti imbottiti per l’arredament­o che, con altrettant­a rapidità, a marzo riconvertì parte delle macchine alla realizzazi­one di dispositiv­i di protezione individual­e. «Che si stia riaccenden­do la domanda è un dato di fatto — riconosce il manager Roberto Lovato — e non mi sorprender­ei se, alla conclusion­e della stagione turistica, fossero stabiliti nuovi blocchi di circolazio­ne fra certi territori. Credo sia inevitabil­e una nuova invernata con un utilizzo massiccio di mascherine».

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