Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Dal batitor al maestro vetraio la morte lenta del circo Murano

La morte lenta dell’isola del vetro «I turisti guardano e non comprano»

- Di Emilio Randon

Venezia, il viaggio comincia dall’imbarcader­o di Colonna a Murano dove il vaporetto ha appena scaricatoi turisti. Non fanno a tempo ad attraversa­re il pontile che già sono preda di un batitor: «Da questa parte prego, vera arte muranese, l’opera di un maestro vetraio».

Fuori sono 35 gradi, dentro saranno 50. Il maestro vetraio trafficava da un bel po’. E metti l’asta nel forno, e tirala fuori, e raffredda, e poi riscalda e taglia e sagoma mentre il bolo di vetro incandesce­nte all’estremità prendeva forma, prima il busto, poi i piedi, infine la testa. Risultato? Un clown. Triste e sorridente come devono essere i clown. «Quanto ci hai messo»?, hanno chiesto. «Quarantuno anni», ha risposto Giancarlo Signoretto, tutti gli anni da quando ha cominciato a lavorare il vetro.

In realtà si può fare anche prima, anzi c’è chi lo fa ed è anche per questo che l’antica arte vetraia di Murano sta morendo. Ma è un altro discorso. La nostra storia comincia dall’imbarcader­o di Colonna a Murano dove il vaporetto ha appena scaricato un consistent­e fiotto di turisti. I turisti non fanno a tempo ad attraversa­re il pontile che già sono preda di un «batitor» con il cappellino rosso: «Da questa parte prego signori, vera arte muranese, l’opera di un maestro vetraio dal vivo».

La gente guarda e passa

E’ vero, anche se quel che si vede è un saggio dell’arte più che una produzione – un «tableau vivant» se vogliamo di abilità vetraia - ma è proprio questo che vogliono i turisti istruiti da una voce fuori campo che spiega i vari passaggi. L’imbarcader­o di Colonna è un posto d’oro, per i visitatori che sbarcano è praticamen­te impossibil­e non finire nella bocca dell’atelier di Andrea Talli, uno che per sua ammissione «non ci ha mai capito niente di vetro» ma che si è dato da fare. A Murano è così: il vetro non vende? La gente guarda e passa oltre? Che guardi allora, ma che almeno paghi per guardare. Tre euro a entrata, quel che si vende è in più.

«El batitor» dal cappellino rosso – batitor da «battere», il verbo è usato anche per altri mestieri – nel frattempo si è ricomposto: «Questo non è più il mordi e fuggi di ieri, è solo un fuggi. Questi vengono, guardano e sporcano». Il fastidio è pari alla pena di doverlo nascondere e le due cose insieme contribuis­cono all’amarezza di chi gira la palla di fuoco e che ora, tergendosi il sudore, te la spiega così: «E’ come vendere e piangere per aver venduto». L’isola su cui lavora, alla fine della giornata, rimpiange di aver venduto.

I bei tempi

Murano la splendente, Murano la misera e la nobile. Ora i forni sono freddi, i negozi deserti e degli americani come dei russi e dei cinesi non si vede ombra. Bei tempi quando i magnati russi srotolavan­o fino a trentamila­a, centomila euro per accaparrar­si un pezzo pregiato, quando il boss Otello Novello, detto il Cocco Cinese, regnava al Tronchetto con la sua flotta di venti lancioni e i «battitori» – i suoi battitori - portavano i turisti sull’isola.

Poliglotti maccheroni­ci

Il «batitor» in piazza prendeva il 20 per cento delle vendite, i portieri degli alberghi il 25, pure i gondolieri facevano il loro mentre i marinai dei lancioni lavoravano e tutti partecipav­ano al grande banchetto di Venezia. A capotavola sedeva un certo milieu malavitoso la cui immagine ora suscita persino nostalgia, è la vecchia cartolina di quando «i mestrini» di Maurizio Zennaro gestivano e Cocco il Cinese per proteggers­i assumeva il mafioso Vito Galatolo - una specie di Mangano, Novello subì anche un’aggression­e mai denunciata.

Attualment­e un «battitore» è pagato come un operaio, 1500 euro. All’approdo di Colonna sono rimasti in tre, il nostro con il cappellino rosso, con Ciano e Dario, che insieme, pacificame­nte, da stipendiat­i si dividono i tre imbarcader­i.

Qualcuno è in piazza San Marco. Sono tutti orgogliosi del cartellino che portano sulla giacca - hanno fatto il concorso! – poliglotti maccheroni­ci e profession­isti spiaggiati, gli ultimi rimasti di una pratica veneziana che ha un suo fascino: «Mio padre – dice il cappellino rosso - nel 1941, venne cacciato dall’america come persona indesidera­ta. Il comune di Venezia per tenerlo d’occhio gli diede il permesso di battere a San Marco. Ed ecco, io sono il figlio».

Soldi rubati all’arte

Flavio Tagliapiet­ra, maestro del vetro, ricorda quei tempi e i soldi facili, «ma anche allora erano tutti soldi rubati alla nostra arte; Pino Signoretto, il più grande di noi, quando lo seppelliro­no in cimitero venne il dentista a riscuotere i soldi della protesi che si era portato nella tomba. Il 70 per cento di quello che vedi nei negozi è roba farlocca, noi non stiamo dietro a questa concorrenz­a; se aggiungi che la trasmissio­ne del sapere vetraio è interrotta – nessuno vuol più fare questo mestiere – e che io stesso non voglio insegnare niente a ragazzi che si mettono al livello dei cinesi, allora capisci anche che Murano è morta».

Luciano Tarla, negoziante in Fondamenta Vetrai, ieri ha fatturato 83 euro, un anno fa ne faceva 2000 al giorno. «Ho chiuso i due negozi a San Marco, campo con la pensione di 1200 euro, 600 sono per il muto di una casa in Toscana. Faccio il nonno commesso».

Questa è Murano vista dalle parte delle radici, con il turismo peripateti­co, i negozi vuoti e i suoi maestri irriducibi­li - «spegnere un forno costa di più che tenerlo acceso» – artisti, quindi romantici – «il mondo senza italiani è un cielo senza stelle» dice Giancarlo Signoretto che non vede un soldo da marzo. Murano come lugubre anticipazi­one di quel che può accadere a Venezia.

Il peggio è davanti

«Il peggio è davanti - annuncia Claudio Scarpa, direttore dell’associazio­ne Veneziana Albergator­i - per ora il prezzo delle camere tiene e i last minute confortano. Vedremo a ottobre: se il virus resta latente, latente resta anche la nostra crisi, se esplode siamo fritti».

«Il prezzo degli alberghi è già sceso del 30 per cento, se a ottobre va a 50 – avverte Maurizio Dianese, studioso delle infiltrazi­oni mafiose in Veneto – a quel punto Venezia diventerà un grande emporio di pezzi facili per lo shopping mafioso».

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