Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
C’È LA RESSA MA LA SFIDA È NELLA LEGA
Curiosamente, alle elezioni più scontate della Storia - almeno per i sondaggisti - si presenta il più alto numero di candidati da che, nel 1995, la legge Tatarella introdusse l’elezione diretta dei presidenti di Regione: ben 11, un primato che resterà intatto anche se, come pare, la Corte d’appello stroncherà sul nascere le ambizioni degli indipendentisti Ivano Spano e Loris Palmerini (al più furono 7 nel 2010). Una vitalità che non si ritrova né nelle liste, dove si fa sempre più fatica a trovare persone disposte a mettersi in gioco (un dato che rileva soprattutto per il Movimento 5 Stelle, forza al timone del Paese che non esiste sul territorio), né in campagna elettorale, dove il combinato disposto Covid-ferragosto ha azzerato il confronto non solo tra i candidati ma pure tra questi e l’elettorato. Valga per tutti l’esempio del governatore uscente Luca Zaia: ad oggi non ha ancora presentato ufficialmente, con tutti i crismi richiesti dal caso, la sua squadra e la sua terza candidatura, quasi si trattasse di un fastidioso disturbo tra i mille impegni che lo assillano. L’impressione è quella di un rito stanco in un momento in cui i cittadini hanno ben altre preoccupazioni e si vedrà il 21 settembre se i dati dell’affluenza la confermeranno.
Ne consegue che a voler cercare un po’ di sale in questo appuntamento con le urne più che guardare alla sfida tra i partiti conviene guardare a quella nei partiti. Zaia, in questi giorni, ha avuto più fastidi dai suoi che da Arturo Lorenzoni & co. Prima il diktat di Salvini sugli assessori da ricandidare tutti nella lista della Lega, anziché in quella del presidente. Poi il pasticcio del bonus Inps, conclusosi con la cacciata dei tre protagonisti tra cui il vice presidente Forcolin. Quindi la querelle con i rampanti Fratelli d’italia sul patto per l’autonomia. Dagli amici mi guardi dio che dai nemici mi guardo io, verrebbe da dire. E d’altronde in questi episodi c’è la chiave di lettura principale di questo voto, ossia la competizione interna, sempre smentita ma de facto, tra Zaia e Salvini. Quest’ultimo non vive un gran momento: i sondaggi sono in calo costante; l’establishment non smette di cannoneggiare; in Europa è isolato; Berlusconi lo pungola; Meloni lo insidia. Le Regionali rischiano di tramutarsi in un incubo perché se la Lega vince in Veneto non vince Salvini, vince Zaia, e se il centrodestra vince nelle Marche e in Puglia, le due Regioni in bilico, a spuntarla saranno i candidati di «Giorgia». «Matteo» si gioca tutto in Toscana dove però si rischia il bis dell’emilia Romagna. In questo senso, proprio il diktat sugli assessori in lista Lega è sembrato un segnale di debolezza più che di forza. Il duello tra Zaia e Salvini è plastico, visto che il nome del primo sta sul simbolo della lista presidenziale e quello del secondo sul simbolo della lista del partito, e molti sono convinti che se la forbice tra le due sarà importante, ci saranno sconvolgimenti tali da ribaltare gli equilibri nel Carroccio, chiudere anzitempo l’era salviniana e lanciare Zaia verso Palazzo Chigi. Visti i precedenti, i dubbi sono tanti: da sempre la Liga Veneta ha dato qui prove di forza superiori a quelle degli acerrimi amici lombardi e mai i veneti sono riusciti ad imporre la loro leadership in via Bellerio (che non significa solo occupare posti di potere ma anche esportare un modello di buon governo). Zaia ostenta disinteresse e continua a ripetere che l’unica cosa che gli sta a cuore è l’autonomia, la sua vera (l’unica?) eredità politica: «Ho lasciato Roma per questo». Ci sta lavorando da 10 anni, la prospettiva è di poterlo fare per altri 5 ma se nel 2025 saremo ancora dove stiamo oggi - e cioè poco sopra lo zero - sarà dura sostenere che è colpa di Roma o dei 5 Stelle o di chi per loro. Se non si segna un gol in trenta partite, magari la difesa è fortissima ma qualche sospetto sorge pure sull’attacco, specie se sostenuto con un plebiscito dagli spalti. Sul punto molto peserà il rapporto con Fratelli d’italia, al cui risultato la Lega guarda difatti con apprensione, mentre pure in questa occasione la variegata galassia autonomista ha dato buona prova della sua proverbiale litigiosità, presentandosi ai nastri di partenza con quattro candidati diversi. Infine, il centrosinistra: lacerato, con quattro differenti alfieri dai renziani alla sinistra radicale, non tocca palla da trent’anni e non si illude certo di intercettarla stavolta. L’obiettivo non può che essere quello di iniziare un percorso che porti tra 5 anni, quando Zaia non si potrà più ricandidare (e vedremo se crescerà delfini), ad un progetto davvero credibile per l’elettorato veneto. Chissà che per allora non si sia risolto pure lo strabismo dell’alleanza che vede dem e M5s assieme al governo ma divisi in Regioni e città. Difficile che l’elettore ti voti, se non ci vede chiaro.