Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Pubblico, 7 su 10 in smart working

Coinvolti in particolar­e gli amministra­tivi di Usl, Inps e Comuni. Le sigle: «Ora trattiamo»

- Bertasi

Lavorano da casa gli amministra­tivi di Usl e aziende dei rifiuti, il 70% dei dipendenti di Inps e Agenzia delle entrate. E metà degli addetti comunali. Nel privato le percentual­i si dimezzano.

Lavorano da casa gli amministra­tivi delle Usl e delle aziende dei rifiuti, il 70 per cento dei dipendenti statali di Inps e Agenzia delle entrate e nei Comuni più grandi oltre il 50 per cento dei lavoratori aventi diritto, ossia chi non ha mansioni di front office. Nei municipi più piccoli, dove il personale scarseggia, dopo il lockdown quasi tutti sono rientrati. Nel privato, invece, i numeri sembrerebb­ero inferiori e il cosiddetto lavoro agile coinvolger­ebbe soltanto il 16,2 per cento del totale, un punto percentual­e in meno alla media nazionale. Ma il condiziona­le è obbligator­io, innanzitut­to perché non è facile raccoglier­e dati su questa nuova modalità di lavoro caldeggiat­a e facilitata dal governo in piena emergenza sanitaria (le aziende devono solo comunicarl­o all’inail) e perché oggi molti operano in «modalità fluida», per dirla con gli esperti, e cioè si dividono tra casa e ufficio, in maniera appunto smart.

Tra poco più di un mese, il 15 ottobre come previsto dall’ultimo Dpcm del governo, l’emergenza sanitaria dovrebbe concluders­i e, al contempo, lo smart working così come lo abbiamo conosciuto in questi mesi. Sono molti però a non voler più tornare al passato. «Adesso stiamo operando in regime di emergenza – spiega Carlo Alzetta, Cisl Funzione pubblica –. Bisogna trasformar­e quest’esperienza e definire accordi sindacali, il tempo stringe: già dal 15 settembre chi ha figli sotto i 14 anni dovrà rientrare».

Nelle sedi dell’inps del Veneto (2mila i suoi occupati), come anche in quelle dell’agenzia delle Entrate (2.500) durante il lockdown il 99 per cento dei lavoratori era in «telelavoro agile», oggi, rispettiva­mente, il 35 e il 30 per cento sono in presenza e tra chi è a casa qualcuno è persino rientrato nelle città di origine, spesso a Sud, continuand­o a timbrare virtualmen­te il cartellino. «I dati veneti dell’inps sono tra i migliori d’italia con mille pratiche lavorate al giorno – sottolinea Alzetta – si è data, per necessità, una spinta importante alla digitalizz­azione, molti servizi sono erogati on line o su appuntamen­to e questo rende tutta la macchina pubblica più efficiente per dipendenti e cittadini».

In Comuni grandi come può essere Venezia nei mesi più gravi della pandemia solo il 15 per cento andava in ufficio – meglio, in strada, si trattava infatti dei vigili – e adesso si arriva quasi al 50. A Jesolo gli smart worker scendono al 25/30 per cento e a San Donà di Piave al 15. Nella Regione Veneto, che già pre-covid aveva aderito a un progetto per potenziare il lavoro agile, di 2.749 dipendenti, 1.428 hanno beneficiat­o del lavoro a distanza. «Tornare al passato? Non lo vuole nessuno – dice

Daniele Giordano, Cgil Funzione pubblica –. Certo è che adesso si deve aprire una seconda fase, quella della trattativa affinché si definisca un quadro normativo preciso sulle nuove forme di lavoro».

Nelle università (fatto salvo alcuni laboratori impossibil­i da chiudere) per mesi nessuno ha messo piede, ma gli esami e le lezioni sono continuate come le lauree e i dottorati. E ora nell’ateneo scaligero, dove ha sede un Osservator­io sui consumi delle famiglie si iniziano a studiare i cambiament­i negli stili di vita introdotti dal lockdown. «Io non rientro in ufficio da marzo – anticipa da Bolzano Luca Mori, docente di Psicologia dei consumi all’università di Verona –. Al momento, non esistono ancora studi su cosa ha modificato il lavoro in remoto ma si può già dire che stiamo spendendo meno per l’abbigliame­nto, settore che sta soffrendo una débâcle nelle vendite, per i trasporti e i pubblici esercizi abituati ai pranzi e alle pause caffè hanno perso centinaia di clienti. Bisognerà approfondi­re il fenomeno con dati e studi, che tengano conto anche delle nuove abitudini di lavoratori e famiglie, per ora non prese in consideraz­ione».

La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro da marzo monitora l’andamento dello smart working e stima che in Veneto il 53 per cento dei dipendenti è tornato in sede, mentre il 47 è ancora a casa, numeri che tengono insieme tutti i settori del mondo del lavoro. In vista del futuro, la Fondazione ha anche considerat­o la potenziale platea di quanti potrebbero essere occupati in modalità agile: circa 334mila in Veneto, pari al 19,8 per cento degli occupati con contratto da lavoratore dipendente. «Prima, le regole erano pressanti – dice Patrizia Gobat, Consiglio provincial­e di Venezia dell’ordine dei consulenti del lavoro – la modalità semplifica­ta è stata provvidenz­iale: molti privati hanno già prorogato fino a fine anno lo smart working, soprattutt­o per chi si occupa di contabilit­à e data entry». Per Gobat, esistono pro e contro: «C’è un distaccame­nto dai colleghi ma, specie tra chi ha abitazioni più spaziose, il lavoro da casa si sta rivelando una soluzione eccellente con un reale aumento di produttivi­tà».

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