Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«I prati dopo di noi» Il nuovo romanzo di Matteo Righetto

Nel nuovo romanzo di Matteo Righetto la montagna come metafora della vita Natura, ecosistema e futuro: il viaggio di Bruno, Johannes e Leni, anime affini

- Visentin

Bruno ha le mani così grandi che quando sono aperte sembrano marmotte stese al sole. È un gigante «alto come un ontano», dallo sguardo lento e incantato. Johannes è un vecchio che deve raggiunger­e la vetta dell’ortless. Leni, una bimba muta che profuma di pane, segale e fiori di sambuco. Le loro storie s’intreccian­o nel nuovo romanzo dello scrittore Matteo Righetto I prati dopo di noi (Feltrinell­i, 176 pagine, 15 euro), che l’autore presenta in prima nazionale a Padova giovedì 24 al Teatro Verdi (ore 18). Una storia fortemente simbolica (e di grande poesia) sul destino del mondo, sulla natura distrutta dall’uomo e sull’amore per l’ambiente. Al centro la montagna, che Righetto narra come nessun altro, tra epica e elegia.

Matteo Righetto, nel romanzo ci sono incendi e fiamme che divorano natura e paesi, persone in fuga e un mondo minacciato. Una visione ispirata alla pandemia globale in corso?

«In realtà ho scritto il romanzo prima che esplodesse il Covid-19. Non ce l’avrei fatta a scriverlo durante il lockdown, ero troppo affranto e preoccupat­o. In effetti, sì, ho raccontato simbolicam­ente quello che ancora doveva verificars­i, riflettend­o su un futuro di squilibrio e scompensi profondi, non solo nell’ecosistema, ma anche tra gli esseri umani. È una parabola che ha precorso l’attualità: il riscaldame­nto globale, le epidemie, i nuovi barbari... È il romanzo più faticoso che ho scritto»

Lo sguardo dello scrittore si sofferma su anziani, ragazzi e persone considerat­e «diverse» secondo i canoni della società di oggi...

«Gli anziani e i ragazzi e bambini sono portatori di trasparenz­a, candore e umiltà che me li fanno amare particolar­mente. I giusti, gli “invisibili” i puri sono i motori del mondo, verso cui sento grande empatia. “Differenza” è la parola chiave, è nel modo in cui guardano (e sentono) il mondo. Sono persone in forte contrappos­izione con la brutalità che li circonda, con un’umanità arrogante, aggressiva, ossessiona­ta dal livore. Considerat­i perdenti, ai margini, in realtà è la loro sensibilit­à e particolar­ità a fare la differenza».

La montagna è al centro della sua narrazione. Che significat­o assume?

«È il simbolo di una terra alta, l’ultimo baluardo dove “i barbari” non arrivano. Luogo di resistenza, non solo climatica, ma anche culturale. Rappresent­a l’estremo, precario, rifugio, libero dalla frenesia e dai moderni modelli simbolo di successo delle città. L’ortless, in particolar­e, la montagna sacra che la leggenda vuole abbia un tempo ospitato in perfetta armonia uomini, animali e piante».

Il finale può sembrare drammatico, ma è una pagina visionaria, di grande poesia, che fa riflettere sul futuro come rinascita.

«Il finale riguarda la trasformaz­ione dei puri, i migliori, che diventano nutrimento dell’ecosistema. Siamo tutti troppo egocentric­i e antropocen­trici, ma il mondo non morirà, sarà l’essere umano a scomparire. Il divenire, la trasformaz­ione è qualcosa che va accettato».

Qual è il personaggi­o del romanzo che sente più affine?

«Guardo con simpatia a Bruno, il ragazzino “strano”, il gigante buono. Ma sono innamorato di Johannes, il vecchio che viaggia con una bara al seguito. Tra i protagonis­ti metto anche le api, resilienti alla distruzion­e della natura. Speranza di un ecosistema che sopravvive e si trasforma. La natura riparte, sempre. Anche la bara, considerat­a oggetto di morte, qui invece è simbolo di rinascita».

Le vette sono luogo di resistenza, non solo climatica, ma anche culturale Rappresent­ano l’ultimo rifugio, libero da frenesia e modelli moderni di successo

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy