Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

PROGETTI, LA CAPITALE CHE MANCA

- Di Gigi Copiello

Va rilevato che l’intervento di Alberto Baban nei giorni scorsi sul Corriere del Veneto pone temi alti, persino «alieni», rispetto al dibattito in atto. Un dibattito che quando parla di Stato, parla di tasse e costo del lavoro, mai di investimen­ti. Dove la politica industrial­e è solo lasciar fare, senza indicare nuove, più alte condizioni del fare. Credo non si abbia neppure idea di cosa vogliano dire i due esempi citati da Baban, Human Technopole a Milano e Big Data Technopole a Bologna. La «potenza» messa in campo con quelle due realizzazi­oni è capace ad esempio di attivare investimen­ti privati che saranno un multiplo di quelli pubblici; è capace di riaffermar­e, nel tempo, la centralità di quei territori a livello mondo. Va detto però che non risulta che «il Veneto… non sembra aver meritato l’attenzione degli investimen­ti dello Stato». No. Se parliamo di investimen­ti, quelli che abbiamo chiesto, li abbiamo ottenuti. E sono già in cassa e spesso già spesi. L’investimen­to del Mose, a totale carico dello Stato (centrale), è stato, diciamo, persino sovrabbond­ante. Sulla Tav, i finanziame­nti sono sempre arrivati, quando e allorquand­o c’era il consenso delle comunità locali interessat­e dall’attraversa­mento. Le Olimpiadi a Cortina sono arrivate con il concorso decisivo di Milano e di Roma (semmai va ricordato che si gareggerà in gran parte a Nord di Cortina, per nulla nel venetissim­o Altipiano di Asiago).

Se Roma non ci soccorreva con 600 milioni, la Pedemontan­a che si voleva tutta nostra non arrivava in porto; tra poco toccherà a noi l’esercizio…

Piuttosto, poniamoci una domanda: c’è un progetto in Veneto di taglia e valore che sia paragonabi­le a Human e Big Data? C’è un progetto di investimen­to da presentare sul tavolo del Recovery Fund? A me non risulta. Neppure nel libro dei sogni. Una ragione è quella menzionata da Baban: manca una capitale riconosciu­ta dal Veneto e per il Veneto. E così siamo sempre alle prese col piccolo, bello o brutto che sia, e la scala di investimen­ti precipita. E pensare che Bologna è solo una media città, con solo qualche migliaio di abitanti più di Verona; ma Bologna è «capitale», alla pari della metropoli Milano. Ma se in Veneto non riconoscia­mo «la» capitale, non riconoscia­mo neppure «il» capitale.

Non mi riferisco qui alla cosiddetta cultura anti-industrial­e che corre nel Paese. Il riferiment­o è un altro. Stiamo parlando di grandi progetti; stiamo guardando oltre, per indovinare le tendenze dello sviluppo futuro. Sono partite decise, nel bene e nel male, dai grandi del mondo. Dalle grandi imprese. Stiamo parlando di Champions, mica di campionato.

Domando: abbiamo giocatori all’altezza? E li facciamo giocare? Si dice che non abbiamo le grandi imprese, in Veneto. E invece le abbiamo, nate o radicate qui. Ma non le facciamo giocare come fanno in Lombardia ed Emilia Romagna. De Longhi, ad esempio: fattura più di 2 miliardi all’anno, ma «chi l’ha visto»? Quando mai s’è visto in un’assemblea di Confindust­ria, quando mai gli si è chiesto qualcosa, fosse solo un consiglio? Lo stesso si può dire di Electrolux, terzo produttore al mondo e ben «piantato» qui da noi, ma all’onor delle cronache solo per complicate relazioni sindacali. E così via.

I grandi stiano a casa loro, così si farà su misura dei piccoli e medi. Che hanno dato luogo ad Arsenale 2020. Che è finito come è iniziato. Nel nulla. Neppure un progetto, neanche per sogno.

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